Di Francesco Giuffrida, studioso di canto popolare e sociale, i lettori di Argo hanno letto riflessioni, interventi, testi di canzoni. Oggi lo intervistiamo in quanto fondatore e componente del Coro Scatenato, che vuole allargare il numero dei suoi componenti e coinvolgere soprattutto
Tra i numerosi lavori di Francesco Giuffrida, studioso di canto popolare e sociale, vi è la ricostruzione della storia di una canzone degli zolfatai siciliani. Del suo testo, molto articolato e ricco di riferimenti e citazioni, pubblichiamo una nostra libera riduzione. Alberto
Amara la situazione “du mischinu” che deve subire soprusi ed è privato di ciò che gli spetterebbe. Eppure alla povera gente che ha l’amaro destino “di faticari” senza poter disporre del frutto del proprio lavoro non mancano né la voglia di riscatto
La “fuitina” è, purtroppo,una situazione sicuramente più comprensibile in Sicilia, e nel meridione, che in altre parti del Paese. Quando nell’Isola, con la pubblicazione (1957) del Corpus di musiche popolari siciliane di Alberto Favara il canto popolare non fu più rappresentato quasi
Oggi, nelle nostre tavole, dopo a pausa invernale, le nespole arrivano prima di tanti frutti “tardo primaverili”. Eppure, in alcune ottave siciliane possiamo trovare questo distico: Quannu viditi nespuli chianciti / chistu è l’urtimu fruttu di la stati (Quando vedete nespole piangete/
Il protagonista de L’amanti miu è un uomo molto amato, idolatrato diremmo, da una donna; ma è un uomo come tanti, senza nome e senza volto. Quella di Unni si’, invece, non è una donna qualsiasi, è Felicia, mamma di Peppino Impastato.
Sti cappidduzza nun pozzu suffriri; Chi si mìntunu ncutti a passiari! E, ncorchi bota, rarreri li rini e, Na pitratuna ci l’agghiu a ncugnari. La ghiammèrica lcontadinionga e li sulini, Scumpuònunu a li figghi re massari. E su passati ca sugnu a
Sicilia, seconda metà dell’ottocento, una donna, a capo di un’allegra brigata di contadini, canta, accompagnata dalla chitarra battente e dai violini, una canzone d’amore in cui parla di se stessa, dei suoi problemi, del suo uomo. Sembra incredibile, eppure, come scrive Francesco
Cummari comu va lu vostru vermu? San Giuvannuzzu, lassatimi stari Si l’ha manciata la pampina ‘ndernu A la cunocchia nun vosi acchianari. (Comare come va il vostro verme?/San Giovannuzzo, lasciatemi stare/si è mangiata la foglia invano/alla conocchia non volle salire). I versi