Tutto ha inizio un Giovedì, uno dei Giovedì di San Nicola (anno 2008) in cui si discute di informazione a Catania con il coinvolgimento delle realtà editoriali che, negli anni novanta e nei primi anni duemila, sono attive in alcuni quartieri problematici della città, da La Periferica di Librino a I Cordai di San Cristoforo, dai tentativi di web radio dell’associazione Iqbal Mashi, sempre a Librino, ai progetti di Riccardo Orioles intenzionato a dar vita ad una nuova testata: tutte esperienze che cercano di rompere il monopolio dell’informazione esercitato da La Sicilia, il quotidiano di Ciancio.
Perché non provare a costruire un sito internet che, senza dover sostenere le spese di un giornale cartaceo, possa divenire ‘vetrina’ cittadina per quei fogli di quartiere che raccontano il territorio e le sfaccettature della Catania che quotidianamente si scontra con problemi pesanti come macigni?
Ci provano Nino Indelicato, Maria Grazia Sapienza e Giulio Bilotta, insieme a Sergio Fisicaro e Nino De Cristofaro, che provengono da associazioni che operano a diverso titolo in città, dai Siciliani per la legalità alla Lila, a Babilonia, attiva a San Berillo.
Cinque temerari con nessuna specifica preparazione in fatto di tecniche di comunicazione e nessuna esperienza professionale di giornalismo, che verrà portata e generosamente trasmessa al gruppo da Ada Mollica che accetterà di imbarcarsi nell’impresa.
Inizia così il cammino faticoso di Argo, Cento occhi su Catania.
La situazione della città, descritta nell’Editoriale pubblicato sul ‘Chi siamo’ del vecchio sito, presenta problemi ancora attuali, dal degrado al clientelismo, favoriti da quel blocco di potere affaristico-mafioso che domina da decenni.
Gradualmente l’esplosione della comunicazione via internet e la nascita di diverse testate on line ha parzialmente ridimensionato il monopolio de La Sicilia e modificato il panorama dell’informazione locale.
I nuovi giornali digitali non hanno nulla a che fare con i gruppi di volontari radicati nei quartieri da cui era partita la nostra avventura, che aveva anche l’esplicita finalità di dare loro rilevanza. Si tratta di imprese che tendono a fare profitto, e danno lavoro – più o meno precario – a giovani giornalisti, alcuni dei quali si rivelano comunque attenti alla presenza e alle iniziative di associazioni e gruppi, più o meno spontanei, presenti in varie aree, talora periferiche, della città. Anche se, rispetto a dieci anni fa, molte realtà locali non esistono più.
Argo comunque continua a valorizzare le attività dei gruppi che operano sul territorio e a diffondere le notizie più significative e documentate che appaiono in pubblicazioni diffuse nella nostra regione, ma dà via via un’impronta sempre più originale ai propri articoli, con approfondimenti di tipo tecnico, politico, urbanistico, in cui utilizza sia conoscenze interne alla redazione sia la collaborazione di amici competenti e disponibili, che condividono l’impegno civile che anima la redazione.
Inizia così la fase delle richieste di accesso agli atti della pubblica amministrazione, delle battaglie contro l’appropriazione degli spazi pubblici da parte dei privati, delle denunce agli organi di controllo e alla Procura, della costituzione in associazione di promozione sociale, delle azioni a fianco di altre associazioni.
L’attenzione a ciò che di positivo si andava e si va realizzando in città, o nella nostra regione, ci ha indotti a parlare di esperienze significative condotte nei quartieri, all’interno dell’Istituto Penale Minorile, nelle scuole, in alcune parrocchie, nelle associazioni più impegnate al fianco degli ultimi.
Nel frattempo si andavano aggregando al gruppo di redazione alcuni giovani (Carmelo Franceschino, Ersilia Rappazzo, Marco Fisicaro, Elena Privitera) che hanno collaborato attivamente rappresentando per noi una grande risorsa. Fino al momento in cui, ognuno sulla base del proprio percorso personale, sono andati lontano dalla Sicilia per proseguire gli studi o costruire un proprio futuro lavorativo. Con tutti loro, seppure a distanza, continuiamo a sentirci e a collaborare. Sono tuttora al fianco di Argo.
Qui a Catania è ancora Armando Villani, giovane ingegnere che ci offre un aiuto prezioso, mettendo a disposizione di Argo la sua competenza tecnico-informatica, oltre che il suo interesse, la sua competenza e il materiale in suo possesso sulla storia di Catania.
E rimane in contatto con noi Fabio Scuto, che si impegna attivamente sul territorio nella periferia sud della città.
Lungo questo percorso decennale il comitato di redazione si è andato modificando, qualcuno ha allentato o interrotto la sua collaborazione per dedicarsi ad altri interessi, mentre nuovi compagni di strada iniziavano ad affiancarci, Elvira Bonanno, Ettore Palazzolo, Marina Mangiameli, Uccio Di Paola, Alessandra Sinatra, ormai divenuti parte integrante della redazione, e altri preziosi collaboratori occasionali.
Ognuno di coloro che hanno partecipato al nostro progetto ci ha fatto dono, con disinteresse e generosità, del proprio tempo e delle proprie competenze. In particolare un sentimento di profonda amicizia e di gratitudine ci lega ad Ada Mollica e Nino Indelicato, colonne portanti del progetto originario di Argo.
Argo è ancora in campo. Con la stessa volontà di disvelare il vero volto della città, le sue sofferenze e le sue speranze. Conosciamo le nostre fragilità, i nostri limiti ma, allo stesso tempo, sappiamo come, oggi più che mai, sia importante dare voce alla società civile, costruire luoghi di confronto, di dibattito e di progetti. Per una nuova cittadinanza attiva.
Una piccola-grande scommessa che oggi si rinnova. Lo facciamo dotandoci di un sito più avanzato, con una rinnovata veste grafica e nuovi contenuti. Con lo spirito combattivo di sempre.
Perché Argo, quale tra i tanti?
Sul nome scelto per il blog, sulla molteplicità dei riferimenti evocati da questa denominazione, ecco il testo che ci ha proposto, vorremmo dire donato, sin dalle origini, la nostra amica grecista Antonietta Milone. E che noi abbiamo fatto nostro.
Pensare al cane dai cento occhi per un gruppo che vuole stabilire finalmente un contatto tra i tanti, infinitesimali, gruppi di controinformazione a Catania e potenziarne la vista, in modo da farne un essere ubiquo e lungimirante, ci sembra francamente troppo ambizioso. Figuriamoci. Anche nel mito, Ermes, che era il più abile dei ladri, sapeva che non gli era possibile rapire Io senza essere colto in flagrante da uno dei cento occhi di Argo e allora – in tempi più nobili degli attuali- lo fece addormentare al magico suono del suo flauto. Oggi il potere conosce mezzi più spicci per rendere Argo cieco o per assopire il vigile istinto di un cane.
Perché non ripiegare piuttosto sull’altra “Argo”, la nave da cui derivò la saga degli Argonauti, la bella quinquereme fatta di buon legname stagionato del monte Pelio, con la prua adorna di una polena intagliata in una quercia sacra al padre Zeus?
Troppo periglioso fu il viaggio, è vero, non esclusa la tappa nel deserto in cui bisognò caricarsela sulle spalle, per non dire degli scogli in cui andavano a sfracellarsi i naviganti, della terra delle Sirene, Scilla e Cariddi… si trovavano tutti nei pressi della Sicilia, che “Argo” aveva già oltrepassata quando fu travolta dal violento vento del Nordest.
Ma alla fine a Pegase, in Tessaglia, punto di partenza e meta del lungo viaggio di Giasone, riuscirono ad approdare, a conferma che per ognuno la propria terra è la cosa più dolce, e l’impulso di tornare è più forte del godimento di qualsiasi altra ricchezza in altro luogo.
Sì, è vero, ciascuno di noi, prima o poi, ha voglia di tornare alla sua terra, se ad aspettarlo c’è almeno un cane. Non un levriero o un dobermann, magari un cernieko dell’Etna, una specie di Argo, il fedele cane di Ulisse. L’eroe se lo trovò inaspettatamente davanti al suo ritorno, sdraiato su un mucchio di sterco, tutto ossa, tormentato da sciami di mosche e decrepito. Aveva consumato la vita cercando di custodire, come poteva, dalle devastazioni dei Pretendenti la casa del suo padrone. Aveva perso la voce ringhiando a ogni pericolo, ad ogni minaccia di estraneo. Anche all’ultimo, mezzo orbo com’era, troppo stanco per andare a caccia, seppe vedere oltre i mille travestimenti, al di là di ogni maschera, “nudo” il suo Ulisse. Il cane agitò debolmente la coda e drizzò le orecchie riconoscendolo. Dicono che qualcosa di umido, forse una lacrima, cadde sul suo mantello spelacchiato, quando finalmente spirò.