Dopo il successo della prima esposizione, “Costanti del Classico nell’Arte del XX e XXI Secolo”, in queste settimane la Fondazione Puglisi Cosentino sta proponendo un nuovo evento alla città di Catania, presentando due degli artisti italiani più interessanti del Novecento, Alberto Burri e Lucio Fontana.
Il Palazzo Valle, unico edificio civile interamente progettato da Gian Battista Vaccarini in città, ospita in una splendida cornice barocca le opere dei due grandi maestri contemporanei. E il livello alto dell’esposizione è testimoniato dalla diretta collaborazione con la Fondazione Burri di Città di Castello e la Fondazione Fontana di Milano.
“Burri/Fontana: Materia e Spazio” è il titolo della mostra; e infatti la materia e lo spazio sono i protagonisti dei lavori presentati, che si susseguono attraversando le sale come un unico filo rosso.
L’allestimento propone un percorso cronologico parallelo tra le opere dei due artisti, dagli anni ’50 ai decenni più recenti, conducendo l’osservatore a misurarsi con un miscuglio di materiali sconosciuti all’arte tradizionale (sono infatti largamente impiegati plastica, metallo, stoffe, catrame, vinavil, insieme con lampade a neon e a lastre di “cellotex”), che provocano le reazioni più diverse negli osservatori, dalla curiosità all’indifferenza, dalla meraviglia all’orrore.
Collegato alla corrente artistica dell’Informale, Alberto Burri nasce nel 1915; nel corso della seconda guerra mondiale viene fatto prigioniero dagli inglesi e portato nel campo di concentramento di Hereford (Texas), dove comincia a dipingere utilizzando materiali di fortuna: sono famosi i suoi “dipinti” sui sacchi di tela utilizzati dall’esercito americano per mandare aiuti alimentari in Italia. La sua opera artistica nasce dunque dal di dentro di un’esperienza di dolore come la guerra e la prigionia vissute in prima persona: la sua arte è estranea ad ogni intervento programmatico (si era infatti laureato in medicina). Tornato in patria nel 1946 continua il suo lavoro creativo: espone in numerose gallerie nazionali e internazionali, fino a ottenere nel 1953 il successo mondiale. Alla Sicilia Burri ha regalato una delle sue opere più famose, mirabile esempio di Land Art (ovvero arte ambientale): il “cretto” di Gibellina, riproduzione in scala gigante di molte sue opere “pitto-scultoree”, costruito con le macerie del paese distrutto dal terremoto del 1968.
Lucio Fontana, classe 1899, è invece il più noto “tagliatore di tele”; fondatore del provocatorio Movimento Spazialista, Fontana superò la distinzione tradizionale tra pittura e scultura. Con le sue opere lo spazio cessa di essere oggetto di rappresentazione secondo le regole convenzionali della prospettiva. La superficie stessa della tela, interrompendosi in rilievi e rientranze, entra in rapporto diretto con lo spazio e la luce reali. Le sue opere sono ispirate da una riflessione sull’arte barocca in cui – ha scritto l’artista – le figure pare abbandonino il piano e continuino nello spazio. Quale luogo migliore, dunque, per accogliere i suoi lavori se non proprio gli eleganti ambienti settecenteschi di Palazzo Valle.
Leggiamo nel pannello introduttivo alla mostra: “Il primato della materia si presenta allo sguardo dell’osservatore a volte crudamente ma anche semplicemente nelle opere di Alberto Burri dal forte impatto pittorico. La materia è portatrice delle sue caratteristiche plastiche, del suo colore, della sua intrinseca emozionalità in inedite soluzioni.
La concezione spaziale fin dai primi anni del secondo dopoguerra diviene elemento che contraddistingue le opere scultoree di Lucio Fontana. Essa viene ricercata e perseguita con continue innovazioni linguistiche e con l’ausilio dei supporti tecnologici, con altrettanto inediti risultati.”
Due artisti diversi dunque, per storia personale, esperienze e correnti artistiche frequentate; e tuttavia le loro opere si intrecciano mirabilmente in questa riuscita esposizione, che attraverso il continuo paragone permette di cogliere i caratteri di entrambi: le opere di Burri, infatti, debordano dalla tela affascinando per la concretezza materica con cui sono plasmate, e coinvolgendo lo spettatore nelle masse quasi “ferite” dall’artista attraverso l’uso della fiamma ossidrica; Fontana mostra invece un volto più freddo, attraverso le tele monocrome provocatoriamente tagliate, come per cancellare secoli di tradizione e svelare l’incantesimo dell’arte; oppure attraverso le sculture, somiglianti ora a rozze composizioni di epoca primitiva, ora a moderni oggetti di design.
Pur in questa diversità, i due artisti si rivelano però uniti su un terreno comune, su cui la loro opera è radicata: entrambi sono involontari interpreti delle guerre e del dolore del “secolo breve”, e quindi della tragica condizione dell’uomo del ‘900. Burri sfigura la materia e la fa parlare come un corpo sofferente, Fontana squarcia la tela come gli eventi del secolo hanno squarciato la vita dell’uomo contemporaneo, intitolando poi alcuni dei suoi “Concetti Spaziali” con il significativo termine di “Attese”.
Il genio artistico dei due assolve in questa interpretazione del proprio tempo un compito fondamentale; esempio massimo di questo è il già citato “Cretto di Gibellina”, con cui Burri ha cristallizzato il dramma della devastazione delle case, delle storie, degli abitanti di un intero paese distrutto, consegnando così alla storia un irripetibile monumento alla memoria.
Anche questa mostra dunque spalanca per la città di Catania una finestra sul panorama dell’arte contemporanea, e sul Novecento italiano che, al contrario di quanto spesso si pensi, ha saputo farsi valere anche in ambito internazionale.
La Fondazione di Palazzo Valle va tenuta d’occhio: fa parte della Catania che “si dà da fare”.
Angela Indelicato
Bellissimo articolo! Complimenti per il sito.