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Catania, S. Agata e le ‘ntuppatedde’

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'ntupateddi con il velo bianco durante la festa agatina

A Catania la quaresima vien senza carnevale; ma in compenso c’è la festa di Sant’Agata, – gran veglione di cui tutta la città è il teatro – nel quale le signore, ed anche le pedine, hanno il diritto di mascherarsi, sotto il pretesto d’intrigare amici e conoscenti, e d’andar attorno, dove vogliono, come vogliono, con chi vogliono, senza che il marito abbia diritto di metterci la punta del naso. Questo si chiama il diritto di‘ntuppatedda”. […] Il costume componesi di un vestito elegante e severo, possibilmente nero, chiuso quasi per intero nel manto, il quale poi copre tutta la persona e lascia scoperto soltanto un occhio per vederci e per far perdere la tramontana, o per far dare al diavolo. La sola civetteria che il costume permette è una punta di guanto, una punta di stivalino, una punta di sottana o di fazzoletto ricamato, una punta di qualche cosa da far valere insomma, tanto da lasciare indovinare il rimanente. Dalle quattro alle otto o alle nove di sera la ‘ntuppatedda è padrona di sè (cosa che da noi ha un certo valore), delle strade, dei ritrovi, di voi, se avete la fortuna di esser conosciuto da lei, della vostra borsa e della vostra testa, se ne avete; [—] Singolare usanza in un paese che ha la riputazione di possedere i mariti più suscettibili di cristianità! È vero che è un’usanza che se ne va”, Giovanni Verga, La coda del diavolo.

Di “attuppateddi” parla Giuseppe Pitrè nel saggio “Feste popolari siciliane” (1881), senza fare esplicito riferimento alla festa di sant’Agata. Racconta di donne che “[…] per non farsi conoscere, vestite colla massima eleganza, coprono la metà della persona dalla vita in su con un manto di seta nero, lasciando soltanto aperto l’occhio destro onde guardare e dirigersi in istrada; ed hanno figuratamente il nome di attuppateddi. Vanno esse a due, a tre ed anche più, o sole, o a braccio di parenti o d’amici. […] Quel che c’è di vero è che l’attuppateddi andando per istrada (e ve n’è migliaia, sì che il Corso Stesicoreo ne è come invaso)s’accostano a qualche amico o conoscente, e prendendolo sotto il braccio lo conducono a un dolciere per averne confetti od altro che loro aggradi. Colui deve pagare e mostrarsi generoso e cortese. Le meno prudenti ti menano a un negozio di minuterie, e scelgono a loro gusto. Ed ecco una bella occasione per ottenere quello che non s’è mai avuto nell’anno”.

Lo spesso Pitrè, tuttavia, in un’opera successiva Feste patronali in Sicilia (1899), al capitolo I ‘nudi’ e le ‘ntuppatedde’ (pag.223)della sezione dedicata alla Festa di S.Agata a Catania, riferisce di donne con il capo coperto da un fazzoletto pendente sul volto, i cosiddetti occhiali, la cui presenza nelle feste della Santa, a febbraio e ad agosto, è attestata dallo storico Pietro Carrera già nel 1641.

Pitrè cita anche una tavola del 1834, annessa alle Osservazioni dello storico catanese Cordaro Clarenza, che rappresenta, nella piazza Stesicorea di Catania, una processione con sei ceri, l’urna delle reliquie tirata da ‘nudi’ (i condottieri della bara di S. Agata che vanno coi piedi scalzi e gambe ignude) e parecchie ‘ntuppateddi sole o a gruppi, attorno a bancherozzoli mentre scelgono dolci o altri oggetti da comprare.

La conferma di una tradizione che, tuttavia, è poi andata in disuso. Solo da alcuni anni, le ‘ntuppatedde’ sono tornate, in abito bianco, con il viso velato per non farsi riconoscere e un garofano rosso nelle mani.

La loro presenza alle celebrazioni era stata contrastata, a fine Ottocento, dal cardinale Dusmet, vescovo di Catania (1867/94), che l’aveva considerata una ‘carnevalata’ del tutto estranea al vero culto della santa patrona, probabilmente, ritenendo eccessivo che queste donne da sole e in piena autonomia vivessero un momento di libertà. L’ultima apparizione pare sia avvenuta nel 1868, quando vennero insultate e cacciate via dalle strade cittadine.

L’anno scorso ne ha contestato la rinnovata presenza l’attuale vescovo di Catania, Luigi Renna, che durante la messa dell’aurora del 4 febbraio, ha detto: “Ci sono tradizioni da tramandare e altre che sanno di paganesimo e vanno sradicate. Sant’Agata è morta, non è andata a fare un ballo in discoteca. Per onorarla è meglio indossare il sacco e recitare la preghiera semplice del santo Rosario”.

Al vescovo ha risposto Elena Rosa (performer e regista, fondatrice della compagnia teatrale Cuori Rivelati. che nel 2013 ha rilanciato la presenza delle ‘ntuppatedde’): “La nostra apparizione, la mattina del 3 febbraio, rivendica la presenza del femminile nella festa, siamo devote alla santa, alla donna e alla libertà. Sant’Agata ricordiamo è morta non di morte naturale ma per mano di uomo. Non abbiamo mai mancato di rispetto alla religiosità della festa e la nostra non è una ‘esibizione indi individualistica’, ma è relazione, comunità e aggregazione gioiosa. Consideriamo la danza una manifestazione del sacro. Perché la danza è preghiera, è comunità, è liberazione. […] D’altronde la Festa di S.Agata perché si chiama festa e non Funerale di S.Agata? Perché le candelore si annacano e dunque danzano circondate dalle bande con il reportorio dei più disparati brani popolari? Perché i fuochi d’artificio? Perché un proliferare di fumi, banchetti e bancarelle festose?”.

Concetti e motivazioni ribaditi, lo scorso 2 febbraio a Palazzo Biscari, nel corso di una performance proposta dalle ‘ntuppatedde’, “con un piede nel passato e lo sguardo dritto e aperto nel futuro”. Non a caso all’inizio le donne hanno fatto finta di mangiare lumache, che in siciliano si chiamano (quelle bianche, ma in letargo) appunto “attuppateddi”.

Al di là della conferma della tradizionale presenza delle ‘ntuppatedde nella festa agatina, che troviamo nelle fonti, riteniamo che sia comunque interessante questa rinnovata partecipazione alla festa di giovani donne che vogliono rendere vive le loro istanze di libertà che oggi significano autodeterminazione, lotta al femminicidio, diritto di movimento (per tutte e tutti).

E, soprattutto ci chiediamo, se di fronte alle tante, troppe, illegalità che accompagnano la festa, siano proprio le ‘ntuppatedde’ a costituire il problema.

Il testo delle Feste patronali in Sicilia di Giuseppe Pitrè a questo link

Un approfondimento su Verga e le ‘ntuppatedde a questo link

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