Eventi, spettacoli, mostre realizzati in templi e teatri del mondo classico non stupiscono più. Non sempre – tuttavia – convincono.
Il tempio dorico di Segesta è stato trasformato in un telaio con milleduecento metri di tessuti riciclati, recuperati e assemblati grazie alla collaborazione del Centro di Riuso del Comune di Calatafimi e alla partecipazione della comunità di Calatafimi Segesta. Annodati fra le colonne di uno dei lati lunghi del tempio vogliono rappresentare “un ideale intreccio di connessioni umane”. Lo scrive l’autorevole rivista Artribune (“In Sicilia tre installazioni trasformano il Parco Archeologico di Segesta in un ordito di storie” di Giulia Giaume).
E’ l’ultima fase di un progetto, Texere, affidato dal direttore del Parco archeologico, Luigi Biondi, all’artista Silvia Scaringella, nel tentativo di far dialogare il contemporaneo con il patrimonio archeologico.
La trasformazione del monumento resterà visibile fino al 29 giugno 2025, e – per Biondi – sarà una “vera palestra di lavoro in divenire, fulcro per incontri, approfondimenti, laboratori, sperimentazioni e soprattutto confronto e luogo di incontro fra le genti, il loro credo ed il loro pensiero, In pace e per la pace”.
Ma non è un punto di visto condiviso da tutti.
Helga Marsala, giornalista e critica d’arte, sempre su Artribune (“Se un tempio dorico diventa un telaio. Il direttore del Parco sulle polemiche a Segesta”), si interroga sul risultato di questa operazione. E risponde “Un gigantesco orpello decorativo che avvolge e snatura l’architettura, nel tentativo di affrontarne la potenza soverchiante. Al netto delle valide premesse, delle attività partecipate, dell’impegno profuso e dell’accurata costruzione del progetto, l’opera appare gratuita (nel senso che ne sfugge la profonda ragione) e goffa (cioè priva di grazia). È impattante da vicino e lo è a distanza, nell’interruzione chiassosa di quel dialogo religioso tra il santuario pagano ed il paesaggio”.
Prosegue, “Il tempio appare fasciato, addobbato per una festa etnica, costretto a infilarsi un abito che non gli dona, non gli appartiene. […] Si tratta di un segno altro, che altera: cosa di per sé interessante. La contemplazione pura non è un dogma, l’antico non è inviolabile tabù. Il tempio vive nel presente, e benché reclami quiete e silenzio, nella sua luce perfetta, nulla esclude che il gesto di rottura possa avere luogo. Quando un senso c’è.”
Helga Marsala confessa di non averlo capito. Dal suo dialogo con il direttore, che vale la pena di leggere, emergono spunti interessanti sui quali riflettere. Tra l’altro è in gioco il tema della valorizzazione delle opere d’arte e di cosa si debba intendere per valorizzazione.
È semplicemente una offesa a coloro che fanno anche migliaia di kilometri per osservare un tempio ben conservato, incastonato in un paesaggio spettacolare, che viene fasciato con degli stracci colorati.
La pratica artistica di” legare” è ” fasciare” monumenti e opere d’ arte non è nuova…basti pensare alla prima artista di questo genere…, la grande Maria Lai che escigito’ questa soluzione creativa nel suo paese sardo Ulassai con l’ opera ‘ legarsi alla montagna…poi ha agito quasi similmente fasciando ponti e monumenti l’ artista Christo….
Ho visitato dopo anni il tempio assieme ad amici stranieri. Ho dovuto scusarmi. Alla base cosiddette opere d’arte patetiche, ne fanno di più interessanti alle scuole d’infanzia. Al tempio stracci sporchi che tolgono rigore e fascino alle geometrie del tempio. Al teatro grovigli di fili come lasciati da un cantiere dell’ Enel. Indecente e osceno. Per favore non vandalizzate il patrimonio culturale del mondo!!!