In occasione del giorno della memoria che ricorre domani, 27 gennaio, segnaliamo il documento dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università, nato per contribuire a rendere gli spazi scolastici veri luoghi di pace e di accoglienza, allontanando dai processi educativi i modelli di forza e di violenza e opponendosi al razzismo e al sessismo di cui sono portatori i linguaggi e le pratiche belliche.
A partire da una ricostruzione storica, il documento suggerisce una serie di riflessioni utili a ragionare sui possibili odierni olocausti.
Fu l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, nel novembre 2005, a decidere che il giorno della liberazione del campo di concentramento di Auschwitz da parte delle truppe sovietiche dell’Armata Rossa avrebbe dovuto ricordare, a livello internazionale, la Shoah. Ma già nel 2000, con una apposita legge (n.211), lo stato italiano aveva riconosciuto “il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, Giorno della Memoria”.
Da allora, ogni anno, in questo giorno, vengono “organizzate cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, su quanto è accaduto al popolo ebraico (ma anche a migliaia di rom e sinti) e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti”.
“Occorre, certo – leggiamo ancora nel documento – coltivare la memoria perché simili eventi non possano più accadere, ma si può, e si deve, indagare e ricordare il passato per comprendere meglio il presente e al fine di progettare un futuro che non ripeta gli orrori del passato”.
Da questi eventi del passato – infatti – dalle deportazioni di militari e politici nei campi di sterminio nazisti, dalle promulgazione delle leggi razziali, dalla persecuzione di cui furono oggetto i cittadini ebrei “da parte fascista con la collaborazione di civili fedeli a Mussolini”, dobbiamo trarre spunto per capire il presente.
Un presente caratterizzato da una conflittualità militare sempre più estesa, da numerosi e drammatici scenari di guerra, tali da poter affermare, come ha più volte detto il Papa, che “siamo in presenza di una terza guerra mondiale a pezzi”.
Tra gli eventi di guerra in atto, che “determinano morte tra i combattenti e, soprattutto tra la popolazione civile, generando immani distruzioni”, il documento si sofferma in particolare sui fatti di Gaza, che vanno ben oltre ciò che avviene negli altri pur terribili conflitti in corso.
“Nella Striscia (365 chilometri quadrati, circa 2 milioni e 300 mila abitanti, prima dell’intervento israeliano) il numero dei civili morti, oltre 24.000 e fra questi moltissimi bambini, le impossibili condizioni materiali di vita per chi continua a risiedervi, le ipotesi, sempre più diffuse, di deportazione della popolazione ci dicono che siamo in presenza di qualcos’altro. Chiamarlo genocidio non ci sembra un’esagerazione”.
“Di tutto questo, a nostro avviso, dovrebbero tenere conto le riflessioni da sviluppare il prossimo 27 gennaio. Invitiamo, perciò, il mondo della scuola e della formazione a non rinunciare al dovere di una rielaborazione critica del nostro presente. Innanzitutto, legando le riflessioni sulla tragedia della Shoah alla ricostruzione della storia mediorientale, perché solo comprendendo le ragioni profonde del conflitto attuale è possibile costruire, coerentemente con il “Giorno” della Memoria”, un percorso di pace”
Nel documento vengono ricordati i fatti che hanno dato origine alla costituzione dello Stato ebraico, la migrazione in Palestina di ebrei europei, la cacciata violenta di oltre 700 mila palestinesi dalla loro terra e dalle loro case, sulla base di quel “colonialismo da insediamento iniziato già prima della seconda guerra mondiale” e diventato via via più consistente “dopo il manifesto di Theodor Herzl, fondatore e principale ideatore del sionismo”.
Un movimento, il sionismo, fondato sull’idea di “ricostituire uno Stato ebraico dopo 2000 anni di diaspora” e su una “esclusività etnocratica e teocratica”, che non poteva che basarsi su concetti infausti, sintetizzati dallo slogan “Una terra senza un popolo per un popolo senza terra”, “uno slogan che non solo non vedeva gli altri come esistenti, ma si prefiggeva l’obiettivo, peraltro realizzato, di cacciare i palestinesi dalle loro terre e poi gli arabi e i goyim”.
Il documento dell’Osservatorio si conclude con un invito, a docenti e alunne/i a documentarsi, e ad impegnarsi “per rendere più forti le ragioni della pace e della convivenza, perché non siano ripetuti, oggi, i tragici errori del passato e affinché nessuno possa poi dire che non sapeva”. E con un richiamo al filosofo Kant, che sollecitava gli uomini a riconoscere che la Terra è di tutti.
“Ci piace perciò concludere con queste sue parole: “[…] in virtù del diritto della proprietà comune della superficie terrestre, sulla quale, in quanto sferica, gli uomini non possono disperdersi all’infinito, ma alla fine devono sopportare di stare l’uno al fianco dell’altro; originariamente però nessuno ha più diritto di un altro ad abitare una località della Terra”.
Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università
E’ grave che ogni critica al sionismo e allo Stato d’Israele sia equiparata all’antisemitismo. Sono due cose completamente diverse. E’ la cattiva coscienza di noi europei che allora abbiamo taciuto? Ma così aggiungiamo un’altra responsabilità. Quella di tacere su qunato avviene oggi a Gaza