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Messina, ferragosto No Ponte

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Un’infrastruttura a campata unica, come è scritto nel decreto legge n.35 del marzo 2023, da 3.300 metri per 60,4 metri larghezza, con 6 corsie stradali e 2 binari ferroviari. Vi potranno transitare, almeno secondo questa ipotesi, 6.000 veicoli l’ora e 200 treni al giorno. Stiamo parlando del ponte sullo stretto di Messina. Sabato 12 agosto, una data non certo favorevole per proteste e manifestazioni, in migliaia, in gran parte provenienti da Sicilia e Calabria, sono scesi in piazza a Messina per contestare un’opera ‘faraonica’ che devasterà la situazione paesaggistica, ambientale e culturale dello Stretto, ingoiando una quantità inimmaginabile di risorse economiche dell’intero paese senza alcuna garanzia di potere essere portata a termine per problemi tenici ancora irrisolti.

Un corteo composito, aperto ovviamente dallo striscione No Ponte, molti giovani, esponenti dei movimenti ambientalisti, partiti dell’opposizione, sindacati… Secondo Gino Sturniolo, storico rappresentante delle Rete No Ponte che ha indetto il corteo, “Il Ponte sullo Stretto non è un modellino che verrà calato tra Sicilia e Calabria, ma un esercito di ruspe e camion che prenderanno possesso dei nostri territori e condizioneranno le vite di centinaia di migliaia di abitanti delle due sponde”.

Parlare/progettare il ponte nella Sicilia devastata dagli incendi, che ha dimostrato davanti all’opinione pubblica internazionale, dopo la chiusura dell’aeroporto di Catania, di non essere in grado di far fronte a un’emergenza imprevista perché le infrastrutture, ferroviarie e stradali, sono semplicemente inesistenti, farebbe sorridere, se non fosse drammatico. Si potrebbe perciò dire, ricorrendo al buon senso, occupiamoci prima dell’essenziale. Considerazioni, queste, presenti tra i manifestanti, con diversi cartelli che ricordavano che “la Sicilia brucia”. Insieme a quelli che ricordavano le motivazioni per le quali il Ponte è in sé un’opera sbagliata, che non si dovrebbe fare neanche nel caso in cui la Sicilia disponesse di infrastrutture adeguate.

Il geologo Mario Tozzi ci ricorda alcune di queste ragioni.

Chi si oppone al ponte lo fa per ideologia. No, lo fa perché ci tiene che la situazione paesaggistica, ambientale e culturale dello stretto non sia sfregiata per sempre. Perché conosce il valore degli ecosistemi e sa che contribuiscono in maniera fondamentale al benessere dei sapiens. L’ideologia non c’entra, c’entra l’ecologia.

Chi si oppone al ponte si oppone al progresso e allo sviluppo. A parte che il progresso si misura in cemento e asfalto, non è più tempo che le infrastrutture guidino lo sviluppo, lo devono assecondare, semmai. Un esempio: il nordest italiano è un grande motore economico, pur non essendo così infrastrutturato. Invece la zona di Corigliano Calabro, pur avendo goduto di un nuovo grande porto, non si è sviluppata così tanto: l’infrastruttura non ha portato alcuna differenza.

Il ponte serve ai pendolari. No, dei circa 5000 pendolari, oggi l’80% non prende l’auto e ci mette 25′. Domani ci metterebbe un’ora per prendere l’auto, uscire da Reggio C. o Messina, pagare pedaggio, attraversare, rientrare in Me o Rc, parcheggiare.

Il ponte serve alle merci. No, una cassetta d’arance da Palermo a Genova conviene spedirla con la nave, considerando che 1 hp marino sposta 4000 kg di merce e uno su gomma 150.

Serve ai turisti: solo un insano di mente può andare in auto da Francoforte a Catania. E se vuole può imbarcare l’auto a Genova o a Napoli, si riposa e inquina meno.

Sarà un’attrazione turistica: se qualcuno viene in Sicilia per il ponte e non per Piazza Armerina, Palermo, Catania, Etna, Alcantara, Nebrodi, Segesta, Selinunte, Taormina, Eolie, Egadi va ricoverato d’urgenza in TSO.

Gli italiani sono grandi costruttori di ponti. Vero, però negli ultimi 10 anni ne sono crollati una dozzina.

I romani costruivano ponti, gli egiziani le piramidi, i francesi la tour Eiffel. Ne prendiamo atto, ma erano altri tempi e le considerazioni ambientali di là da venire. Oggi l’Italia divora 2 mq/sec di territorio, una cifra spaventosa. Ci sarà un limite alla nostra espansione, o pensiamo di poter vivere senza ambienti naturali?

Considerazioni che, sicuramente, non esauriscono i motivi del no, ma che dovrebbero rendere tutti consapevoli che problemi complessi richiedono sempre ragionamenti complessi. Argo ha prodotto un vero e proprio dossier sul Ponte, i cui articoli più vecchi, non aggiornati su numeri e nomi, sono tuttavia ancora attuali nell’analisi delle criticità.

La propaganda ufficiale ignora la complessità e si concentra su annunci miracolistici. Per ultimo con il buon Salvini che ostenta nei social una copia di Topolino (si, stiamo parlando del fumetto) con in copertina il ‘futuro’ ponte di Messina. Secondo il Riformista “La storia di cui parla Salvini, intitolata ‘Zio Paperone e il ponte di Messina’ vede Zio Paperone nei panni di mecenate. Si mette in testa, infatti, di costruire il ponte di cui già allora si parlava per risolvere i problemi atavici della regione (la scarsità d’acqua, l’inquinamento delle auto). Così ingaggia degli architetti che gli propongono tre soluzioni: un ponte sostenuto da mongolfiere, un tunnel sottomarino oppure un ponte a campata unica (quello di cui si parla anche oggi). Nessuno, però, è realizzabile. L’idea nuova e che sembra geniale – un ponte di corallo che si auto genera – gli viene soffiata da Rockerduck, ma, alla fine, i turisti cominciano a demolirlo pezzo per pezzo, per portare a casa un souvenir della sontuosa opera”.

2 Comments

  1. Alla fine il ponte di Paperone scomparì…
    Il ponte di Salvini spero neanche si cominci…
    A parte ogni altra considerazione stravolgerebbe un pezzo di natura per me meraviglioso.

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