Un vero e proprio disvelamento ha avuto luogo, venerdì pomeriggio, all’interno dell’Orto Botanico di Catania. Undici brevi interventi di presentazione hanno rivelato al numeroso pubblico presente i tesori contenuti nell’area che va dalla collina di Monte Po alla foce del fiume Acquicella, là dove un gruppo di associazioni, con in testa la Lipu di Pippo Rannisi, ha immaginato e proposto di creare un grande parco territoriale capace di ridare a Catania il contatto con la natura e la fruizione del verde che da decenni le sono stati sottratti.
Tesori di ricchezza botanica e di piante rare, di varietà di specie animali, tra cui alcune in estinzione, di reperti archeologici che vanno da un frammento dell’età del bronzo, a resti della fase imperiale romana, poi bizantina e medievale, fino al rudere di una certosa, poi abbazia abitata fino al XVII secolo, di cui hanno parlato gli archeologi Marchese e Tortorici e lo storico Longhitano. E poi le costruzioni militari del secondo dopo guerra, presentate da Condorelli come una ulteriore “offerta” da mettere a disposizione dei fruitori del Parco.
Tutto a due passi da casa, in un’area che costeggia periferie abbandonate a cui non diamo il valore di una lira, e si conclude alla Plaia, non lontano dal Faro, dove facciamo il bagno incuranti di disturbare le colonie di germani reali o i nidi improvvisati dei fratini che depongono nella sabbia le loro piccole uova in una costante sfida della natura alla minacciosa presenza umana, raccontati da Dario Grimaldi.
Da più di un anno i proponenti esplorano questo territorio percorrendolo in gruppi formati da esperti e cittadini comuni, che scoprono la presenza di piante ormai considerate scomparse, fotografano uccelli provvidenzialmente riapparsi dopo la minacciata estinzione, ripercorrono i tratti non tombati dell’Acquicella verificando come questo piccolo fiume ostinato – raccontato da Salvatore Alecci – conservi la capacità di rigenerare le proprie acque nonostante sia spesso usato come discarica.
E’ un messaggio di speranza quello che proviene da queste passeggiate esplorative, la potenza della natura può avere la meglio sulle azioni umane di disturbo, dettate da interessi speculativi e miopi.
“Il territorio appartiene a tutti gli esseri viventi che lo abitano”, dice Alfredo Petralia del Dipartimento di biologia animale, compresi gli artropodi che assicurano la sopravvivenza delle specie superiori: ecco perché va riconosciuto e protetto anche il “mondo fantastico di animali che si trova sotto le pietre” e in tutto l’ecosistema legato al suolo.
Ridare spazio alla vegetazione permette a questa di ricostituirsi, ricordano i botanici Turrisi e Minissale, come nel caso del bosco che può rinascere là dove, ad esempio sulla collina di Monte Po, abbiamo ormai solo le “praterie” che ne hanno preso il posto dopo il disboscamento. E svolgere così il suo ruolo ecologico, colmando il vuoto di politica ambientale del nostro paese e della nostra città, denunciato da Filippo Gravagno.
Le associazioni proponenti non hanno soltanto esplorato l’area, hanno anche lavorato ad un corposo dossier in cui indicare le proposte di utilizzo, le linee guide di interventi da effettuare per far diventare il Parco realtà. Un dossier presentato all’Amministrazione che è apparsa interessata e disponibile, ma non si è attivata come avrebbe potuto e dovuto, neanche dopo avere inserito il progetto nel Piano Urbano Integrato. Perchè? A causa delle vicende ingarbugliate della sua storia recente, con l’avvicendarsi di dimissioni, commissariamenti, giochi pre-elettorali? A causa della resistenza opposta da chi su quell’area ha già messo gli occhi per interventi speculativi su cui non c’è ancora chiarezza?
Anche di questo si è parlato venerdì pomeriggio, quando allo stupore per la varietà e la bellezza di cui si veniva a conoscenza, é subentrata nei partecipanti la consapevolezza che la strada da percorrere è ancora molto lunga, deve fare i conti con i rifiuti scaricati in queste aree e poi incendiati, delle strutture anche di pregio proditoriamente abbattute per avere le mani libere, dei silenzi e delle riserve del Comune che resiste alla firma di un Patto di collaborazione ma autorizza progetti poco chari come quello del grande parcheggio di fronte all’ospedale Garibaldi, autorizzato come “ristrutturazione urbanistica” e su cui è in corso una richiesta di accesso agli atti. E poi il problema della mappatura delle particelle catastali, in mano al Comune, a privati, al demanio marittimo, ad enti e fondazioni, tutto da studiare per trovare risposte e soluzioni.
L’appuntamento di ieri è stato il punto di arrivo di una fase preparatoria ma anche il punto di partenza di una nuova fase in cui sarebbe opportuno che tutte le forze in campo si unissero, la Soprintendenza, presente con funzionari ed ex dirigenti, il Comune per il quale erano presenti tre potenziali candidati sindaco, Bianco, Caserta e Giuffrida, che si sono detti disponibili e interessati, l’Università rappresentata da vari esponenti tra cui lo stesso padrone di casa Giusso del Galdo, il mondo delle professioni, molti cittadini comuni.
Significative anche le assenze, ad esempio quelle degli altri candidati sindaco, che non hanno ritenuto di rispondere all’invito, ma anche dei residenti delle periferie più vicine all’area del futuro Parco, che i proponenti sanno – come ha sottolineato Giusi Milazzo – di dover coinvolgere perché solo se il Parco diventerà un’opera voluta dai cittadini avrà delle chance, non solo di essere realizzato ma soprattutto tutelato e sottratto all’incuria e al vandalismo.
Vivace il dibattito, moderato – con pugno di ferro in guanto di velluto – dalla giornalista Luisa Santangelo, e animato da interventi di notevole spessore.
Purtroppo intanto ci sono i pareri favorevoli di ben 2 istituzioni pubbliche sia sul parcheggio sui 60..000 ma., che sugli erigendi edifici residenziali per i familiari dei malati oncologici .
Nonostante la meritevole azione delle associazioni che si sono intestate l’obbiettivo del parco .
La giustificazione e’ che quei terreni sono privati.
Immagino che si sia programmato di dotare l’amministrazione comunale di un fondo da utilizzare per gli espropri per “pubblica utilita’”.
Ma e’ anche auspicabile che, in cronica assenza di un P.R.G. (oggi P.U.G.) , si sia ipotizzato di caldeggiare una variante, in questo caso di PUBBLICA UTILITA’, in luogo di altre “su commissione”.