Sono passati quasi quarant’anni e l’assassinio di Pippo Fava continua ad interrogare la città, il suo passato e il suo presente. Ed è davvero difficile cercare di spiegare ad un ragazzo il contesto in cui maturò l’uccisione di uno dei più grandi intellettuali italiani.
Era il tempo dei cavalieri del lavoro e di Santapaola uniti da tragico legame, era il tempo in cui la magistratura garantiva l’immunità di mafiosi, imprenditori e politici, era il tempo in cui la politica alimentava un infinito ciclo del cemento, fondato sulla rendita e la speculazione edilizia, in cui mafia e imprenditori andavano a braccetto. Ma era soprattutto il tempo in cui La Sicilia di Mario Ciancio Sanfilippo, dal ponte di comando della città, gridava ai quattro venti che a Catania non c’era né mafia, né mafiosi, né amici dei mafiosi.
Pippo Fava cominciò a mettere in discussione il “modello Catania”, un originale modello di relazioni tra politica, affari e criminalità. Cioè un modello autenticamente mafioso. Ne scoperchiò i contorni, declinò nomi e cognomi e pagò con la vita la sua straordinaria opera di disvelamento. Si dovranno aspettare dieci anni per giungere ad un processo e vincere i depistaggi che avranno ne La Sicilia il più munito dei quartieri generali.
Nel frattempo quel giornale scriverà una delle pagine più torbide della storia del giornalismo italiano e con la sua penna di punta, Toni Zermo, non si ritrarrà dal calunniare più e più volte il nome e l’esempio di Pippo Fava. Un silenzio implacabile ha accompagnato tutte le fasi del processo del delitto Fava, la sentenza definitiva fu relegata nelle pagine di cronache con venti righe striminzite. Come se quel delitto non valesse niente, come se non appartenesse alla storia della città.
Nei decenni successivi non un solo articolo ha illuminato il senso più autentico di quel delitto, non un solo commento ha preso le distanze da quel passato, non una sola autocritica si è mai affacciata su quel giornale. Anzi, si assiste ad una pervicace riabilitazione del passato. Si rilegga quanto ha scritto Antonello Piraneo, appena nominato direttore de La Sicilia, all’indomani delle dimissioni di Mario Ciancio Sanfilippo, ancora sotto processo per concorso esterno in associazione mafiosa: “Siamo sempre noi, ci evolviamo nel solco della tradizione”.
Ma è appunto quella tradizione a costituire un enorme problema. Ma davvero si pensa che quel giornale, e quel giornalismo, sia passato invano nella formazione dello spirito pubblico della città? Se quel giornalismo non viene messo radicalmente in discussione c’è poco da fare: il passato non passa e le sue macerie continueranno ad ostruire il futuro della città.
La Fondazione Fava ha svolto un lavoro prezioso, con lo straordinario merito di far vivere la memoria di un grande intellettuale e di consegnarla all’attualità e al futuro della città e del Paese.
Il prossimo 5 gennaio la Fondazione, per il 39° anniversario dell’uccisione di Pippo Fava, ha invitato Claudio Fava, Michele Gambino, Riccardo Orioles. A moderare il dibattito il giornalista de La Sicilia, Mario Barresi.
Che i tre protagonisti de I Siciliani, una pagina bella e nobile del giornalismo italiano, si ritrovino a ricordare il loro maestro e ciò che la sua azione ha significato sul piano civile e culturale non può che rallegrarci. La loro testimonianza sarà assai utile per riflettere insieme sulla condizione che oggi vive Catania con cronisti che hanno lottato per un giornalismo alternativo ed una Catania diversa.
Viene però naturale interrogarsi sulla presenza di Barresi come moderatore. È una nota stonata, del tutto fuori luogo. Che già una volta lo abbia fatto (2019) non è un motivo sufficiente per riproporlo. Ieri ci è sembrata una svista, oggi è un errore. Non fosse altro perché l’erede di Tony Zermo ha rappresentato in tutti questi anni il più tenace epigono di un giornale portavoce dell’elite politica di ieri e di oggi, di un foglio che si muove in piena continuità con il suo passato: strenuo difensore del blocco sociale e politica che domina Catania e la Sicilia.
Solo alcuni esempi del giornalismo di Barresi. Memorabili le micidiali domande rivolte un anno fa all’ora Presidente della Regione, mentre la Sicilia era sommersa dai rifiuti e dalle gravissime carenze nella campagna di vaccinazione anti covid: “I Siciliani lo rieleggerebbero?” “I sondaggi la danno vincente?” “Come si immagina a Capodanno”. Indimenticabile la ricostruzione della presenza del presidente della Regione nello studio di Barbara D’Urso: “I siciliani che ascoltano Musumeci incollati alla Tv, un ColonNello che ha usato bene i super poteri” e che gode di un consenso plebiscitario (“i siciliani sono con lui”).
Indimenticabile la piena riabilitazione di Totò Cuffaro, pronunciate per rallegrarsi a mezzo stampa dell’ingresso in magistratura della figlia dell’ex presidente della Regione: “Ha pagato col carcere i suoi reati e ha riconosciuto i suoi errori morali”. Indelebile “l’impeto spontaneo” con cui si schiera al fianco di Schifani, nella pubblica rissa tra l’assessore Falcone e il capo forzista Miccichè. Incancellabile il reportage sul voto amministrativo in cui ci ha informato che a Palermo il problema non è il ritorno sul ponte di comando di condannati per reati di mafia come i Cuffaro e Dell’Utri, o di chi ha una biografia densa di cattive frequentazioni come Schifani. Il problema è “il reddito di cittadinanza che sposta più voti di dieci Cuffaro e cento Dell’Utri”. Ci fermiamo qui.
Pippo Fava è stato una sorta di Pelè del giornalismo catanese e italiano. La sua lezione è irripetibile. Ma essa ha segnato un orizzonte. Cui continuare a tendere. Nessuno chiede a Barresi di avvicinarsi a quell’esempio. Ma c’è un limite a tutto. E ci chiediamo se la scelta di quel moderatore sia la più giusta. O se invece non finisca, senza volerlo, con il confondere le acque.
Pippo Fava e Mario Ciancio Sanfilippo rappresentano due Catania alternative, due Sicilie contrapposte. Se quel giornale continua ad indicare Zermo come un “maestro di vita e di penna” non ci siamo. E, sebbene in forme nuove, quel giornale continua a difendere il blocco di potere dell’isola (che proprio in questa fase con i Cuffatro, i Dell’Utri e gli Schifani rinsalda rapporti e relazioni con le consorterie mafiose). Non è quindi una buona idea consentire alla sua penna di punta di ricordare Pippo Fava.
C’è chi era dalla parte giusta e chi dalla parte sbagliata. Ed è così anche oggi. Se non si riconosce questo punto, tanto essenziale quanto elementare, si rischia di fare diventare Pippo Fava un santino buono per tutti gli usi.
Condivido.
Giusto, circostanziato ed ineccepibile perché Barresi non è la scelta opportuna come moderatore dell’incontro.
Mi chiedo come potrà Barresi moderare il peso di questo carico del passato, ammesso che sia possibile. Forse farebbe meglio a declinare l’invito.
Si sente il bisogno di un altro giornale. Non può una città metropolitana vivere con un solo foglio legato agli interessi di una classe politica vicina e sensibile agli interessi politici dell’editore. La DC catanese e tutta la corvè di lecchini di destra e di sinistra che hanno aspirato alla gestione del potere hanno avuto come referente pubblicitario La Sicilia per cui non c’è dibattito pubblico nè questione politica che non trovi ospitalità nelle pagine di questo unico e solo foglio che occupa il mercato della pubblica opinione. E’ FORSE TEMPO DI N ALTRO QUOTIDIANO.
Tanto vale fare condurre un dibattito sui vegani a un tirannosauro
Questo articolo ha un tratto di penna così fattuale e preciso che quelli de La Sicilia dovrebbero farsi consigliare penne nuove dai loro amici.
La fondazione Fava purtroppo non ha emesso solo una nota sbagliata, ma ha introdotto uno strumento guasto che non potrà non creare una vera e propria stonatura di fondo.
Concordo, ineccepibile
Mi sembra del tutto evidente una svolta politica operata dalla Fondazione, impensabile per molti che oggi trasfigurano, giustamente, in Barresi il volto di Tony Zermo, la “penna armata ” di Mario Ciancio. Ma per onestá intelletuale dobbiamo dire che dall’altra parte, se oggi è possibile un tale dibattito e tale moderatore, non ci sono piu’ …gli eredi di Pippo Fava ma solo dei giornalisti che hanno tratto le loro conclusioni di una vicenda che ha cercato, nella lotta politica di quegli anni e nei successivi, di separare la societá catanese (riuscendoci solo in parte) : per questi è il tempo della pacificazione. Veramente, qualcuno è piu’ di un giornalista , riuscendo a diventare Presidente della Commissione antimafia regionale senza spendere una parola sulle connessioni tra Miccichè ed il sodale Dell’Utri un minuto dopo la condanna di quest’ultimo per mafia: in Sicilia ha fatto tutto da solo? Le scelte vengono da lontano ed il dibattito della Fondazione Fava è solo la conseguenza di scelte politiche. L’impero economico/finanziario Santapaola-Ercolano non spara piu, frotte di turisti “formicolano” nella cittá e sull’Etna, il Comune di Catania, senza vergogna, passa dal dissesto finanziario ( in cui si equiparano centrodestra e centrosinistra ) al dissesto morale scacciando i clochard da Piazza della Repubblica nel silenzio della Procura : non ci resta che tornare ad indagare sul “geroglifico maligno” che ci indicava Titta Scidá.
Leggo ora…per mia negligenza. La sera del cinque a Zo io presente ( dopo il corteo, e diversamente da altri) Claudio Fava ha elogiato il ruolo del moderatore….non per la funzione di moderatore svolta nella serata, ma per il suo ruolo di giornalista…..capace di scrivere. Come si deve interpretare siffatta dichiarazione? Claudio Fava è stato presidente della commissione antimafia siciliana, non come ” titolo ereditario” , ma poiché rappresentante eletto della lista della sinistra espressa in Sicilia nelle precedenti ( e nelle ultime) elezioni regionali…a parte i tanti ( sicuramente)elettori che in funzione della propria ” nobiltà d’animo” si sono astenuti.
Ora, nell’espressione del movimento storico anti-mafioso siciliano degli ultimi 40 anni cosa rimane? Di significativo, sul piano operativo, e raccoglitore di consensi sul piano elettorale?
Già, grande domanda!
Inoltre, nel corso di quella serata, Riccardo Orioles ( giornalista premiato dalla Fondazione Fava per l’evento dell’anno) in maniera chiara e netta ha lucidamente evidenziato la funzione e ruolo del quotidiano catanese e del suo assetto proprietario nel corso dei tanti decenni.
Le valutazioni sono tutte belle, ma poi bisogna farsi il conto, sul piano operativo– con tutti i sacrifici conseguenti – con il potere affaristico-politico-mafioso che ha inquinato, distrutto, e fatto lauti e luridi affari, sulla città e sul ” corpo” di coloro ( una volta chiamati proletari) che sulle loro magre spalle hanno retto i lussi e le lussurie scaturite dal sistema di potere.