Un contributo di Antonio Fischella fa luce sul ‘nuovo’ che si prospetta per la Sicilia se Renato Schifani divenisse presidente della Regione.
Se qualche tempo fa ce lo avessero detto non ci avremmo creduto. Eppure è avvenuto. Alla luce del sole, a trent’anni esatti dall’assassinio di Falcone e Borsellino.
Come se la storia avesse deciso un funambolico passo all’indietro: l’ex Rettore Lagalla diventa sindaco di Palermo grazie al decisivo appoggio di Totò Cuffaro e Marcello Dell’Utri. Entrambi condannati con sentenza definitiva: l’ex presidente della Regione nel 2010 a 7 anni per favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra; Marcello Dell’Utri nel 2014 a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa.
In una fase in cui si cerca di ridimensionare il problema dei rapporti tra mafia e politica può essere utile richiamare i gravissimi reati di cui si sono resi responsabili Cuffaro (vedi box n.1) e Dell’Utri (vedi box n.2) . Il secondo recentissimamente ribattezzato, dalla migliore firma del quotidiano La Sicilia, con il titolo di “vecchio saggio di Arcore”.
Box 1 – Cuffaro, il patto politico-mafioso con Cosa Nostra
Per Cuffaro è stata provata l’esistenza di un accordo politico mafioso tra l’ex senatore di Raffadali e il capomandamento di . . .
Cuffaro e Dell’Utri sono stati protagonisti assoluti di quel circuito politico, affaristico criminale chiamato mafia: la più tragica e radicale minaccia alla vita democratica del nostro Paese. I rapporti e le relazioni di cui sono portatori non si estinguono con gli anni di carcere cui sono stati condannati. Permangono e si rinnovano.
Non è affatto normale che due personalità di questo spessore criminale siedano al tavolo delle trattative per decidere le sorti di Palermo e della Regione Sicilia. Si è dinanzi ad una gigantesca regressione della politica e del sistema democratico. Della Sicilia e dell’Italia intera.
Box 2 – Dell’Utri, l’uomo di fiducia Berlusconi e del boss Bontade
Dimostrati per il bibliofilo Dell’Utri rapporti diretti e personali con esponenti di spicco di Cosa Nostra. Tra la metà degli anni Settanta e la fine degli anni Novanta . . .
Un salto nel passato più buio che la candidatura di Renato Schifani conferma e, se possibile, aggrava. Per illuminare il ruolo di Schifani nella partita che si chiuderà il 25 settembre non è sufficiente ripercorrere la cronaca degli ultimi decenni che pure ha visto questo sconosciuto avvocato palermitano conquistare la prestigiosissima carica di presidente del Senato.
Non basta neanche richiamare il “lodo” che porta il suo nome. Legge senza eguali nelle democrazie occidentali, bocciata dalla Consulta per palese incostituzionalità, che permise comunque a Berlusconi di sottrarsi al processo Sme.
Anche l’effimera militanza al fianco di Angelino Alfano, chiusasi ben presto con il ritorno sulle vie di Arcore, non sembra in grado di rischiarare adeguatamente la caratura del personaggio. Infatti, la cronaca anche la più aspra e imbarazzante non basta.
Box 3 – I soci in odor di mafia di Schifani
Nella Sicula Broker , a partire dal 1979, saràsocio del boss Nino Mandalà,fondatore di Forza Italia a Villabate e . . .
La forza dell’ex presidente del Senato non risiede tanto nel palcoscenico della politica, egli non è uomo da luci della ribalta. Assai più significativi sono i rapporti di cui si è nutrito. Sono essi ad illuminare di luce sinistra il suo ritorno alla politica siciliana. Relazioni che gli sono valse l’iscrizione nel registro degli indagati per concorso esterno in associazione mafiosa. Due anni di indagini poi l’archiviazione nel 2014.
Non si giungerà al processo perché, così come scrivono i magistrati, “le relazioni strette con personaggi inseriti nell’ambiente mafioso o vicini all’ambiente mafioso”, per quanto accertate, risalgono nel tempo e sarebbe sopraggiunta la prescrizione. Così scopriamo che mentre “l’altra Sicilia” veniva privata dei suoi uomini migliori in una infinita mattanza, Schifani faceva affari con il peggio dell’isola (vedi box numero 3).
Schifani è attualmente sotto processo a Caltanissetta, dove dovrà rispondere di un accusa infamante: essersi messo al servizio di Antonello Montante, il falso paladino dell’antimafia, fornendogli notizie riservate mentre era indagato.
Al di là delle risultanze processuali ciò che emerge dalla sua biografia – non ultimo il clamoroso “Schifani è una mente” sussurrato da Totò Riina intercettato in carcere – l’ex Presidente del Senato è un uomo che viene da lontano, le cui salde radici affondano nei reticoli affaristici strutturati nella società e nella politica siciliana.
E’ un uomo di “mezzo”, interprete raffinato di quella borghesia mafiosa e di quell’area grigia, da sempre luoghi privilegiati delle interrelazioni tra mondo di sopra e mondo sotto.
Con la sua candidatura si tenta di chiudere definitivamente la frattura del Maxiprocesso e quella del ’92-’93. Un solo esempio: nel suo “listino”, frutto di una spasmodica mediazione tra le forze di Centro Destra, Schifani ha indicato un nome di peso: l’agrigentino Riccardo Gallo Afflitto, fedelissimo di Marcello Dell’Utri. Come se fosse un titolo di merito.
Le liste che si stanno formando altro non sono che il coagularsi di grumi di potere: relazioni e rapporti storici che si riconnettono e si ricongiungono. La politica siciliana compie un travolgente tuffo nel passato. Come ha scritto Attilio Bolzoni: “i vecchi padroni dell’isola hanno deciso di riprendersi la ‘loro’ Sicilia”.
La parentesi della mafia corleonese, e con essa la sfida al cielo di Totò Riina viene archiviata definitivamente e consegnata alla storia. Il ponte di comando della politica siciliana può ormai tornare saldamente nelle mani del nuovo – vecchio blocco di potere politico affaristico mafioso. Schifani ne è l’espressione più immediata e diretta.
I soldi del Pnrr cementano nuovi equilibri. In mano a questa classe dirigente quei soldi non verranno utilizzati per realizzare riforme ma, come ci ha insegnato Pio La Torre, serviranno ad alimentare clientele di ogni sorta.
La sinistra ha accolto con un silenzio devastante la candidatura di Schifani. Si è girata dall’altra parte, ha deciso di far finta di niente. C’è bisogno di aria pulita. Di un nuovo e radicale movimento contro la mafia. Che cominci a fare almeno tre cose.
La prima: smettere di affidarsi unicamente alla magistratura con la consapevolezza che la verità giudiziaria è spesso solo un pallido riflesso della realtà storica. La seconda: occuparsi degli ultimi, porre al centro della propria azione la condizione dei ceti popolari. La terza: dare vita a nuove alleanze nella società, con il meglio che essa esprime, dalle parrocchie, alle associazioni, ai lavoratori, agli insegnanti e agli studenti.
Dare spazio e soggettività a tutte quelle donne e a tutti quegli uomini che ogni giorno rendono reale l’aspirazione ad una Sicilia diversa.