Oggi vogliamo ricordare le parole che Gino Strada, scomparso il 13 agosto 2021, scriveva nel novembre 2001, in una lettera inviata dal Panshir ai volontari di Milano.
Siamo in un Afghanistan lacerato dalla guerra, dove i chirurghi di Emergency e i loro collaboratori cercano, talora invano, di salvare la vita di donne, uomini, bambini giunti in ospedale con i corpi squarciati dalle bombe o dilaniati dalle mine anti-uomo.
Quelle di Strada sono parole di speranza contro ogni speranza, che conservano – dopo venti anni – una sconvolgente attualità e contengono un messaggio universale.
Eccole
“Intanto noi di Emercency qui viviamo il presente. Cercando di tirare avanti, insieme con i nostri amici afgani, in mezzo a questa guerra assurda.
Come ci sentiamo?
Il più delle volte impotenti, assolutamente inutili, sconfitti dalla marea montante di inciviltà, di ignoranza, egoismo, incoscienza, volgarità e, soprattutto, stupidità. Sappiamo che probabilmente saranno ancora loro a vincere, gli adoratori del denaro e della guerra
E questo è, almeno per me, molto deprimente: il fatto che siano i terroristi e i generali a prendere decisoni che riguardano la vita di tutti noi, e condizioneranno quella dei nostri figli.
Ho sentito qualcuno di Emergency dire: “aspetto a fare un figlio, in questo momento c’è troppo lavoro da fare, bisogna lavorare per la pace”.
Da un lato mi sono commosso, perché so esattamente la passione e la fatica di tutti quelli che mandano avanti la baracca di Emergency, a Milano e nel resto d’Italia. Ma poi mi sono spaventato, all’idea che qualcuno incominci a pensare che mettere al mondo figli, cioè metterli al mondo in questo mondo, sia cosa per il momento da evitare. Quasi a dire: vediamo prima come va a finire, non è detto che sarà un mondo bello da vivere.
E anche questo pensiero non ha certo migliorato lo stato depressivo del sottoscritto, perché mi è venuto in mente, per associazione, un altro pensiero, anzi un ricordo. Il ricordo di un padre orgoglioso, fiero, contento che il proprio figlio, neanche ventenne, si fosse fatto esplodere contro qualche nemico. Terribile
C’è chi ha paura a fare figli, e chi è contento che il proprio figlio cessi di esistere. Credo proprio che siano espressioni della stessa tragedia: l’assenza di futuro, di quello che si teme o di quello che si rifiuta perché già scritto e vissuto.
Siamo davvero nella stessa barca, tutti.
E allora lavoriamo sul possibile, e lavoriamoci sodo, perché c’è molto da fare, ma anche molto da capire, da scoprire, e poi … non è scritto da nessuna parte che le utopie non siano trasformabili in progetti, e quindi praticabili.”
(da “Medici di guerra, inviati di pace”, a cura di Emergency, Guerini e associati editore, 2002)