Tutti nella neve, uomini donne, bambini, anche neonati, nel tentativo di sopravvivere e, appena possibile, attraversare il confine tra Bosnia e Croazia, perché entrare in Croazia significa entrare in Europa.
La frontiera con l’Unione Europea è la meta, riuscire ad attraversarla è il “game”, un gioco molto pericoloso, una sorta di scommessa di cui non si conosce il risultato. Chi lo tenta sa di rischiare, di trovarsi a fronteggiate la violenza della polizia croata, che picchia, malmena, deruba i migranti dei soldi, li priva a volte persino degli abiti e delle scarpe.
Metodi violenti e azioni illegali, di cui hanno parlato qualche giorno fa, nel webinar “Vite Congelate”, organizzato da Restiamo Umani e Incontriamoci, il giornalista di Avvenire Nello Scavo, la giornalista dell’Osservatorio Balcani e Caucaso Nicole Corritore, e Agostino Zanotti fondatore della Onlus ADL di Zavidovici. Ha moderato l’incontro Renato Camarda.
Grande imputata l’Europa, Italia compresa.
Un’Europa che non è certo stata presa alla sprovvista dall’arrivo dei migranti in questa area. La rotta balcanica, infatti, esiste da almeno un decennio, anche se il flusso delle persone che la percorrono è aumentato negli ultimi tre, quattro anni. E’ percorsa soprattutto da siriani, pakistani, afgani, bengalesi.
Un’Europa che da tempo utilizza una precisa strategia nei confronti dei profughi che bussano alle sue porte, esternalizzando la difesa delle proprie frontiere e appaltando ad altri stati il trattenimento dei migranti.
Lo ha fatto con le milizie libiche, lo ha fatto con i milioni di euro dati alla Turchia, uno stato che non rispetta i diritti umani.
Lungo la rotta balcanica, lo fa con la Bosnia, a cui ha chiesto di trattenere i migranti in campi di accoglienza temporanea, inizialmente gestiti da organizzazioni internazionali come OIM, che comunque hanno dato in appalto la sicurezza e la distribuzione del cibo, senza riuscire a garantire condizioni di vita accettabili.
Dopo l’incendio del campo di Lipa (a circa 25 km dal confine con la Croazia), inadatto all’accoglienza, con pochi servizi e sprovvisto di elettricità, acqua potabile, riscaldamento, è arrivato l’esercito, vi ha montato le sue tende e lo ha riaperto.
Fuori dal campo, gli altri profughi vivono negli “squat”, ruderi dove sono accampate intere famiglie, alcune con bambini anche piccoli. Una situazione di estremo disagio, peggiorata anche dalla pandemia.
Che la politica della Unione Europea sia frutto di scelte precise, lo provano le risorse messe in campo per il controllo delle frontiere esterne. A Frontex vengono assegnati da anni fondi crescenti, dai 6 milioni di euro nel 2005 ai 233 milioni del 2019 al miliardo previsto nel 2020-2021.
Come hanno ribadito i relatori, l’Europa dovrebbe invece provare vergogna per quello che accade ai propri confini, dove vengono traditi i valori universali della dignità, della solidarietà, considerati sulla carta principi fondamentali della nostra cultura, insieme alle radici cristiane di cui il nostro continente si vanta.
Di più. Quando si vedono soldati in divisa che picchiano e maltrattano, capiamo che è in discussione lo stato di diritto. Eppure fare una richiesta di asilo è un diritto, un’azione perfettamente legale. Per l’Italia prevista dall’art. 10 della Costituzione. Illegali sono i respingimenti.
Cosa fare davanti ad una situazione così drammatica?
Innanzi tutto raccontare, dare spazio alle storie, alle vicende degli uomini e delle donne che vivono questa tragedia, e tenere “accese” le coscienze, provocare l’indignazione che possa poi sollecitare i decisori politici.
Accanto all’inevitabile senso di impotenza, di cui ha parlato Nello Scavo, i tre relatori hanno evidenziato anche la speranza che nasce dai gesti di solidarietà. A partire dalle lettere, proprio le lettere cartacee che ormai non si usano più, di persone che hanno espresso il disagio di aver visto scene che erano convinte non potessero più accadere.
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E poi le offerte di aiuto, fornite anche dalla popolazione locale, le donazioni, un’onda di solidarietà, alla quale si può partecipare inviando un contributo all’IBAN indicato sulla locandina di Vite Congelate.
Una solidarietà realizzata, anche, in alcuni interventi che l’Ipsia (Istituto Pace Sviluppo Innovazione Acli) sta sviluppando nel campo di Lipa. Una mensa al coperto, all’interno di una tensostruttura che sarà presto anche riscaldata; un tendone dedicato ad attività sociali, che permetterà ai migranti di passare alcune ore al coperto svolgendo attività anche ludiche (dama o backgammon); un altro tendone, per isolare i malati di scabbia, che si stanno moltiplicando a causa della mancanza di acqua e delle precarie condizioni igieniche.
In questo contesto in cui anche il silenzio è complicità, appare incredibile la perquisizione effettuata due giorni fa nella sede dell’associazione di volontariato Linea d’Ombra ODV, a Trieste, che fornisce aiuto e sostegno ai migranti bloccati nel gelo dei campi e offre prima assistenza a chi riesce ad arrivare alla stazione di Trieste.
Sono stati sequestrati telefoni e libri contabili ed è stato ipotizzato il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina a carico di Gian Andrea Franchi e Lorena Fornasir, fondatori dell’associazione.
Speriamo di non trovarci davanti ad un caso simile a quello di don Carlo D’Antoni, parroco di Bosco Minniti a Siracusa, che è dovuto passare attraverso gli arresti domiciliari prima di essere assolto perché “il fatto non sussiste”.
La storia di Lorena Fornasir, insieme a quella di altre tre donne che si sono trovate, quasi per caso, ad occuparsi di migranti, è raccontata nel docufilm “Dove bisogna stare” di Daniele Gaglianone e Stefano Collizzolli girato tra il 2017 e il 2018 con il sostegno di Medici senza Frontiere e Piemonte Film Commission, in visone gratuita fino al giorno 28 sulla piattaforma ZaLab.
Guarda il video a questo link https://partecipa.zalab.org/dove-bisogna-stare/