Peppino Impastato venne assassinato nella notte tra l’8 e il 9 maggio del 1978, con una carica di tritolo posta sotto il corpo adagiato sui binari della ferrovia.
Pio La Torre – come disse Enrico Berlinguer segretario nazionale del P.C.I. – non era uomo da limitarsi ai discorsi e alle analisi, “era uno che faceva sul serio, per questo lo hanno ucciso”, il 30 aprile del 1982, insieme con Rosario Di Salvo.
Due omicidi di mafia, ma non solo. Su Impastato iniziarono subito i depistaggi, venne accreditata la pista del terrorista saltato in aria, mentre stava compiendo un attentato.
In “Peppino Impastato. Anatomia di un depistaggio”, a cura di Umberto Santino, si legge “La relazione della Commissione parlamentare antimafia sul depistaggio delle indagini sull’assassinio mafioso di Giuseppe Impastato è un fatto unico nella storia dell’Italia repubblicana. Per la prima volta una Commissione parlamentare ha fatto luce sulle responsabilità di rappresentanti delle forze dell’ordine e della magistratura nel coprire mandanti ed esecutori di un delitto di mafia volto a colpire un militante radicalmente impegnato contro i mafiosi e i loro alleati, a partire dalla famiglia da cui proveniva”.
Una verità, ottenuta grazie a una mobilitazione continua, iniziata subito dopo il delitto. Una verità che, prima ancora che in Parlamento (Commissione antimafia) e nelle aule giudiziarie, è diventata senso comune, soprattutto tra le giovani generazioni; anche grazie al cinema (I cento passi) e alla musica (Ventisei canzoni per Peppino Impastato, uscito per il trentennale della scomparsa).
La Torre era tornato in una Sicilia, sua terra di origine, ancora sotto il giogo della mafia e minacciata dall’installazione della base missilistica di Comiso. Un impegno, quest’ultimo, che rivitalizzò energie importanti, portò centinaia di migliaia di siciliani a protestare nel ragusano, sollecitati delle tante realtà pacifiste e antimilitariste, ma anche, e soprattutto, dai partiti della sinistra (PCI, PdUP, Democrazia Proletaria). A dimostrazione di quanto i siciliani fossero contrari a ospitare la base della morte, furono raccolte un milione di firme per impedirne la costruzione.
Ma La Torre diede anche un nuovo impulso alla lotta alla mafia. Introdurre il reato di associazione mafiosa, controllare le opere pubbliche (a partire dalla pratica del subappalto), smantellare il segreto bancario furono individuati come i passaggi nuovi, e fondamentali, per un’efficace azione di contrasto alle cosche.
Come si legge nell’Archivio digitale Pio La Torre, “La legge n. 646, del 13 settembre 1982, nota come legge “Rognoni-La Torre”, introdusse per la prima volta nel codice penale la previsione del reato di “associazione di tipo mafioso” (art. 416 bis) e la conseguente previsione di misure patrimoniali applicabili all’accumulazione illecita di capitali. Il testo normativo traeva origine da una proposta di legge presentata alla Camera dei deputati il 31 marzo 1980 (Atto Camera n. 1581), che aveva come primo firmatario l’on. Pio La Torre ed alla cui formulazione tecnica collaborarono anche due giovani magistrati della Procura di Palermo, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino”.
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Ricordarli insieme non è quindi un artificio retorico, più semplicemente aiuta a individuare e costruire un orizzonte di riscatto e cambiamento, di cui oggi c’è estremo bisogno.