Maroni lo aveva inaugurato, Salvini lo ha chiuso.
Stiamo parlando del Cara di Mineo, la mega struttura che ha ospitato nei momenti più caldi migliaia di migranti in attesa che si decidessero le loro sorti, accoglienza o espulsione.
Una struttura costruita nel nulla che non poteva offrire nessuna possibilità di integrazione, un isolamento che è andato crescendo con il passare del tempo per l’aggravarsi del problema dei collegamenti con i paesi vicini (si fa per dire…). Un ‘villaggio della solidarietà’ (come fu definito quando si decise di farne la più grande struttura di ‘accoglienza’ d’Europa) che è stato negli anni al centro di inchieste giudiziarie come quella su Mafia capitale, che hanno coinvolto politici ed amministratori che ci speculavano sopra a diversi livelli.
Una realtà ingovernabile, in cui si intrecciavano mancanza di opportunità di inserimento, servizi inadeguati, episodi di violenza, prostituzione, droga. Per anni le associazioni antirazziste ne hanno chiesto la chiusura, scontrandosi anche con la volontà dei dipendenti italiani di mantenerla in vita per salvaguardare i posti di lavoro.
Anche la gestione della chiusura è avvenuta con metodi inaccettabili. La maggior parte dei residenti è stata trasferita in strutture simili a quella di Mineo (Capo Rizzuto, Trapani) e gli allontanamenti sono avvenuti a ‘marce forzate’ senza che, nella maggior parte dei casi, i migranti fossero avvertiti della nuova destinazione.
Ci sono stati anche gli allontanamenti volontari, i casi di migranti abbandonati al loro destino e quindi alla strada, l’impossibilità di garantire la continuità delle cure ai più vulnerabili, spesso vittime di tortura o portatori di grave disagio psichico. Il centro di accoglienza temporaneo aperto per volontà del vescovo di Caltagirone ospita oggi un piccolo numero di questi ‘sfrattati’, assistiti anche dai medici di Medu (medici per il diritti umani) che sono rimasti vicini agli ospiti del CARA fino alla fine, cercando anche di recuperare chi era rimasto abbandonato sul ciglio della strada.
Martedì mattina una quarantina di attivisti, provenienti da Catania e Caltagirone, ha provato a ricordare a Salvini la storia del Cara e a contestarne le politiche sui migranti.
Nello stesso tempo, una cinquantina di ex lavoratori, presenti quasi esclusivamente bandiere della CGIL, hanno contestato la chiusura della struttura, e i loro licenziamenti. Gli attivisti (Rete Antirazzista, Cobas, Borderline, Medu, Restiamo Umani e altri) che avevano indetto anche una conferenza stampa di fronte ai cancelli del Cara sono stati per lungo tempo bloccati dalle forze dell’ordine e, solo dopo una lunga trattativa, sotto il sole della campagna calatina, ne è stato, infine, permesso lo svolgimento.
In effetti, si è appreso successivamente, era stata proprio una parte degli ex lavoratori del Cara a non gradire la presenza degli antirazzisti.
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In effetti, tutti gli interventi in conferenza stampa hanno ricordato che non siamo in presenza della tanto propagandata invasione, che altri Paesi, in cifre assolute e in proporzione al numero degli abitanti, accolgono molti più migranti e, soprattutto, che – se l’obiettivo fosse quello dell’integrazione – è evidente che lo si può raggiungere solo potenziando strutture come gli Sprar che l’attuale governo sta invece smantellando.
Strutture che garantirebbero, nello stesso tempo, percorsi di inserimento e lavoro ‘buono’ per gli stessi dipendenti, in maggioranza italiani. Gli attivisti hanno anche denunciato la demagogia della parola d’ordine ‘aiutiamoli a casa loro’, visto che sia il governo Gentiloni sia quello giallo-verde hanno diminuito gli stanziamenti per la cooperazione internazionale.
Nel frattempo, Salvini, dentro il Cara, snocciolava ai giornalisti i ‘suoi’ numeri e i ‘suoi’ risultati, trasformando ancora una volta la realtà in occasione di propaganda.