Nella collana “Manuali e monografie di psicologia” della Giunti troverete un libro dello psicologo Santo Di Nuovo, già direttore del dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università di Catania e ordinario di Psicologia.
Il suo libro ha ricevuto il premio scientifico intitolato a Sante de Sanctis, celebre pioniere della psicologia e neuropsichiatria italiana, e può insegnare molto anche a lettori curiosi ma non specialisti della materia.
Analizza i rapporti tra neuroscienze e psicologia seguendo un filo lungo e a volte aggrovigliato. Se ne terrete saldamente in mano un’estremità, il filo comincerà a dipanarsi… seguitelo e vi inoltrerete per un cammino durante il quale potrete osservare la psicologia cognitiva e le neuroscienze che si abbracciano e si combattono, alternando rispetto a sfiducia.
Il libro racconta quest’unione travagliata tra le due discipline, che assieme a slanci collaborativi alterna momenti di frizione, litigi e incomprensioni. E come in qualunque matrimonio, quando va tutto bene non c’è poi molto da raccontare, ma ogni litigio, al contrario, genera domande e partorisce problemi ai quali vanno cercate risposte.
Il libro cerca proprio questi punti di scontro, ne trova le cause e solleva interrogativi ai quali non sempre sono state date risposte, oppure le cui risposte sono state smentite dai recenti sviluppi delle neuroscienze, notevoli grazie anche al contributo dei nuovi macchinari diagnostici.
E soprattutto, poiché è stato scritto da uno psicologo che ha anche una solida formazione in genetica e neurofisiologia, il manuale guarda ai pregi ed ai limiti dei vari approcci che vogliono comprendere, ognuno a suo modo, che cos’è e come funziona la mente umana, e poi cercano di sviluppare metodologie che possano alleviarne le manifestazioni patologiche.
Se vi aspettate artificiose e drastiche separazioni tra cultura e scienza, tra organismo e società e, peggio ancora, immaginate una linea netta che intervenga a separare irrevocabilmente il positivo dal negativo, l’utile dal dannoso, resterete delusi e un po’ disorientati…
perché la verità è che la realtà al di fuori di noi, interagendo con le innumerevoli reazioni chimiche e gli infiniti impulsi nervosi che avvengono nel nostro corpo, dà vita ad un insieme unico la cui enorme complessità abbiamo appena cominciato a scoprire.
Se invece avrete la pazienza di non mollare il filo, verrete piano piano introdotti in un mondo dove la semplificazione è bandita ma non la chiarezza dell’analisi e la limpidezza delle argomentazioni, e passerete in rassegna i diversi campi nei quali genetica, neurofisiologia, farmacologia e psicologia hanno diritto a dire la loro.
Capirete inoltre che, mentre tutte scalpitano per imporre il proprio dominio, sarebbe molto più proficua una dinamica di collaborazione, perché, come più volte ribadito nel libro, “corporeità, emozione e coscienza non possono essere scisse, ma vanno comprese e trattate insieme”.
Il manuale analizza gli apporti delle neuroscienze e della psicologia cognitiva nell’ambito del diritto e della criminologia, dell’economia, della diagnostica, dell’etica e della religiosità. Temi estremamente attuali ed interessanti vengono presentati ed osservati dalle angolature diverse delle diverse discipline.
Non viene affatto messo in dubbio il fondamentale contributo in numerosi ambiti della star dei nostri tempi, la genetica, ma si avverte che la riconosciuta ereditarietà di molte patologie non deve far passare in secondo piano l’importanza delle influenze sociali ed ambientali.
Ancora, si sottolinea l’importanza delle emozioni nell’influenzare apprendimento e ricordi, e si spiega quanto il marketing abbia imparato a stimolarle e manipolarle per renderci consumatori compulsivi.
La stessa genetica, con l’affermarsi dell’epigenetica, riconosce che, seppure la struttura rimane certamente stabile, la funzionalità dei geni può invece cambiare sulla base di stimolazioni esterne.
Quindi, anche se l’eredità biologica ricopre un ruolo primario, pensiamo alle malattie neurodegenerative, al deterioramento cognitivo degli anziani, ai disturbi cognitivi e comportamentali, tuttavia da sola non basta a spiegare tutto, poiché il potenziale genetico può essere acceso o spento da stimoli ambientali.
Per esempio, potrà pure esserci un fondamento biologico dell’aggressività, ma tale “vulnerabilità genetica” sarà tanto più significativa se l’individuo ha vissuto in un contesto familiare e sociale negativo ed è stato esposto a fattori psicologicamente traumatici.
Uno degli apporti più interessanti del libro si trova nel capitolo intitolato “La lezione della complessità”, e ci parla di Filosofia della Scienza. I Greci per primi si sono posti le domande che ancora oggi ci assillano: cos’è che ci governa? La “necessità” di Democrito, cioè il rigido determinismo? O la deviazione spontanea e perciò imprevedibile degli atomi sostenuta dagli epicurei, “il caso”, e con esso il libero arbitrio?
Le “teorie della complessità” odierne dicono che tutto ciò che esiste nell’universo è frutto congiuntamente della necessità e del caso.
Ma la parola complessità non può nascondere un semplice dato di fatto: noi non comprendiamo il sistema nel quale siamo immersi e di cui facciamo parte.
Le nostre tecniche sempre più avanzate, le diagnostiche per immagini, le simulazioni, le ricerche cumulative, sono strumenti per aiutarci a comprendere ancora meglio, ma persisteranno sempre andamenti caotici ed imprevedibili.
La ricerca psicologica, specie nei settori applicativi come quelli clinici e psicosociali, sapendo bene come spesso la casualità prevalga sulla causalità, può dare il suo importante contributo studiando non la patologia ma l’individuo, con un approccio olistico che rifiuti la distinzione tra “cultura”, oggetto delle scienze umane, e “natura”, oggetto della scienza sperimentale, e che partendo dalla “necessità” restituisca all’uomo la dignità del libero arbitrio.