Grazie al cinema King la nostra sonnolenta città è indotta a riflettere, attraverso l’immaginario cinematografico, sulle contraddizioni del nostro presente. Un intervento di Giuseppe Strazzulla, appassionato cinefilo.
Il cinema King resta un’ancora di salvataggio nel panorama culturale sempre più conformista della nostra città.
Filmografie sghembe, fuori circuito, sintomatiche di malesseri e inquietudini non placate si alternano costantemente ad una programmazione comunque di offerta mai banale o sciatta.
In attesa della rassegna East Side – Il nuovo cinema dell’est Europa che partirà mercoledì 20 marzo (idealmente anticipata dalla proiezione programmata al Cinestudio del 27-28 febbraio, dell’amaro e realissimo film bulgaro Directions di Stephan Komandarev), ci siamo goduti il ciclo di opere del cinema portoghese di questi anni.
Una rassegna antologica itinerante (informazioni sul sito: luso-cine.com) di forte sapore politico.
Le vicende della società portoghese di oggi sono infatti lo specchio di una situazione di precarietà sociale – nel mondo del lavoro come in quello delle relazioni – comune a tutta l’Europa.
Il nostro immaginario cinematografico del Portogallo si limita generalmente all’opera del grande Manoel De Oliveira, o al più di Joao Cesar Monteiro (autore anarchico e narrativamente sovversivo) o, per i cinefili più accaniti, di Paulo Rocha, già assistente di Jean Renoir….
Per il resto, fino a che resiste ‘Fuori Orario‘ nel palinsesto Rai possiamo sperare in qualche notte eroica in bianco, ma il cinema portoghese è sostanzialmente sconosciuto in Italia.
Abbiamo così visto cinque lungometraggi assai significativi di una filmografia intrisa della stessa poesia malinconica e di dolore stemperato in un sorriso triste, capace di ritrarre personaggi non banali, a cominciare da Ramiro (2017, di Manuel Mozos), anti-eroe eponimo libraio a Lisbona, accompagnato da un cagnolone solitario come lui, che non riesce a difendere il proprio desiderio di monotonia quotidiana.
Le riflessioni politiche, qui solo sottintese, esplodono in Cartas da guerra (2016, di Ivo Ferreira), tratto dalla raccolta di lettere inviate alla propria donna dallo scrittore Antonio Lobo Antunes dal terribile scenario della guerra coloniale in Angola Orientale.
Il passato storico di violenza e sopraffazione da parte della nazione portoghese si sovrappone nell’ambito della rassegna al presente drammatico di crisi economica tutta interna alle questioni europee del dominio delle banche e della divinità del mercato.
E’ il caso di A fabrica de Nada (2016, di Pedro Pinho), torrenziale narrazione delle risorse umane e imprenditoriali di un gruppo di lavoratori vittime del fallimento (in verità. della decisione padronale di delocalizzare) della loro fabbrica.
La stessa aria di fallimento morale che segue al fallimento economico troviamo in Sao Jorge(2016, di Marco Martins), la storia di un pugile disoccupato che per sopravvivere accetta il lavoro di esattore in un’agenzia di “recupero debiti” dove è costretto ad usare con violenza la propria forza fisica: evidente metafora di un Paese indebitato, dove la crisi economica che morde non consente di pagare i debiti, con le conseguenze terribili mostrate nel film.
E’ il mercato, bellezza, guidato dalla “mano invisibile” della troika che determina le condizioni di vita, gli spostamenti, la sopravvivenza stessa di milioni di persone.
E determina anche la perdizione nella grande città di Chico, il protagonista dell’allucinato Verao Danado (2017, di Pedro Cabeleira), che si trasferisce dalla tranquilla campagna dei nonni a Lisbona, dove vorrebbe trovare lavoro e invece va incontro ad un’esistenza vuota tra droghe, musica psichedelica e sostanziale solitudine pur in mezzo a tanta gente come lui.
Ancora una volta, l’immagine di una vita precaria, in attesa di una sempre rimandata età adulta in cui ciascuno possa trovare la propria strada senza finire stritolato dal controllo economico eterodiretto.
Sosteniamo quindi il cinema King, che ci permette ancora di riflettere, attraverso l’immaginario cinematografico, sulle contraddizioni del nostro apparente benessere.
E stiamo a vedere se – dal 20 marzo al 17 aprile – l’Europa dell’est ci riserverà qualche sorpresa.