“Il più bel titolo che si sia mai stato trovato per un giornale”. Così Leonardo Sciascia definì “Malgradotutto”, il nome scelto da un gruppo di giovani di Racalmuto per il giornale che volevano fondare.
Nato nel 1980, Malgradotutto esprimeva volontà di lottare, desiderio di svolgere un ruolo di coscienza critica, rifiuto del disinteresse nei confronti della situazione locale, a cui l’esempio di Sciascia non era estraneo.
Come disse – nel corso di una intervista – uno dei fondatori, Gaetano Savatteri, forse “non ci credevano neanche noi, ma ci buttammo nell’avventura con ingenua spavalderia”. E chiesero a Sciascia, già affermato scrittore, di collaborare.
E Sciascia accettò, affidando a questo piccolo giornale di provincia un messaggio rivolto a tutta la stampa locale, che può svolgere un ruolo di ‘opposizione seria sulle cose concrete’.
Il messaggio è contenuto, in particolare, nel suo intervento ad un dibattito sul ruolo della stampa minore, organizzato da Malgradotutto il 13 gennaio del 1985.
L’intervento fu poi trascritto e pubblicato sul giornale, ed è conservato nell’archivio del sito web della rivista
Ne riprendiamo oggi alcuni stralci, perchè ci sembra ancora attuale e perchè, in un certo senso, ci riguarda.
“Posso cominciare – racconta Sciascia – con un aneddoto che è piuttosto significativo: uno dei più intelligenti, colti ed onesti giornalisti italiani, che si è trovato a dirigere uno dei più grandi giornali di questo paese (Alberto Cavallari, direttore del Corriere della Sera, n.d.r.), quando ci incontravamo proprio nel tempo in cui lui dirigeva questo giornale, facendo delle considerazioni sulla situazione italiana o su situazioni particolari del nostro paese, a conclusione delle sue considerazioni mi diceva sempre: ‘Ci vorrebbe un giornale‘.
“Questo vuol dire che il giornale che lui dirigeva non corrispondeva ai suoi intenti e non consentiva di dire quello che lui voleva dire. A me questo pare molto significativo e credo che lo si possa ripetere considerando la stampa nazionale: ci vorrebbe un giornale”.
Sciascia ritiene infatti che, a partire dal caso Moro, sia venuta a mancare la libertà di stampa e siano divenuti dominanti l’uniformità e il conformismo.
Fa anche riferimento al libro sul fascismo scritto da Giuseppe Antonio Borgese, in cui viene raccontata la fine della libertà di stampa in Italia nel ventennio, non a causa di una legge, ma proprio “automaticamente, per conformazione e conformismo”.
Per fortuna – prosegue Sciascia – oggi sono nate iniziative locali che, pur non potendo sostituire la mancanza di una grande stampa nazionale libera, non conformista e capace di passare tutto al vaglio critico, possono tuttavia svolgere un ruolo significativo.
E conclude: “L’importante è che ogni giornale di questo tipo resti un giornale locale; che non dia fondo ai problemi del mondo e della nazione, ma che osservi criticamente e onestamente la realtà locale. Che poi da ciò, tirando le somme, si può anche estrarre una verità di più ampio respiro”.
Il giornalismo che Sciascia auspica è quello “praticato con oggettività, con serenità, con scrupolo. Oggi invece il giornalismo si pratica in un certo modo, e specialmente in rapporto all’amministrazione della giustizia, che è una cosa su cui si deve vigilare più intensamente e anche a livello locale.
La carenza che ritrovo nei giornali locali è questa: poca attenzione all’amministrazione della giustizia e tanta attenzione a episodi di sottocultura.
Ci si deve augurare che questi giornali siano sempre più attenti ai fatti locali e facciano ‘opposizione’: i giornali nazionali, i grandi giornali e anche quelli medi, sono diventati ingovernabili per la presenza e la compromissione partitica.
I giornali locali dovrebbero fare opposizione seria sui fatti quotidiani, sulle cose da fare, prendendo così il ruolo di opposizione vera che in molte amministrazioni viene mancando.
Opposizione quindi non per principio, per il gusto di farla: ma opposizione sulle cose concrete.”
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