Ha superato da tempo il mezzo secolo il ponte sul fiume Cassibile, che troviamo sulla SS 115, poco prima di Avola.
E’ un classico ponte ad arco, ‘a spinta eliminata’, costruito in cemento armato, con armatura in ferri lisci. Come tanti vecchi ponti, è ora soggetto al transito di veicoli 4 volte più pesanti di quelli per i quali era stato progettato.
I carichi di progetto per i ponti, infatti, negli anni ’60 prevedevano una colonna continua di autocarri da 12 tonnellate. Sono stati via via adeguati all’accresciuto peso dei veicoli e già nel 1990 prevedevano il passaggio di mezzi di trasporto di 60 tonnellate per asse.
Un adeguamento che riguarda le nuove strutture lasciando quelle vecchie a sopportare carichi eccessivi.
Nel ponte sul Cassibile da anni è saltato il copriferro delle nervature dell’impalcato, le armature rimangono quindi esposte all’aggressione degli agenti atmosferici e la corrosione ne riduce la sezione.
Anche gli arconi che sopportano tutto il peso della struttura hanno le armature “in vista”, come si può vedere persino dalle immagini di Google map.
Inevitabile chiedersi se sia mai stata effettuata una manutenzione della struttura e a quando risalga l’ultima ispezione.
L’unico intervento visibile è stata la riduzione della larghezza di transito della carreggiata, una limitazione in atto da diversi anni, segno che qualcuno all’ANAS deve essersi accorto da tempo delle condizioni di precarietà della struttura e se ne è preoccupato.
Molte le domande che restano aperte. E’ stata fatta una verifica della capacità residua del ponte?
La struttura è in grado di sopportare in sicurezza il transito dei veicoli attuali o semplicemente di reggere il peso proprio?
La situazione di apparente totale abbandono in cui versa la struttura non sembra sia un caso unico, ma solo uno di tanti casi simili presenti nella rete stradale siciliana. E la cronaca degli ultimi anni ne dà triste conferma.
Il cedimento dell’impalcato di un ponte in cemento armato avviene in genere senza nessun segnale premonitore.
Gli accertamenti successivi ai disastri permettono di individuare le cause dei crolli o in errori costruttivi o nell’assenza di alcun tipo di ispezione programmata.
Eppure nella legislazione italiana esistono norme tecniche precise che coprono ogni aspetto, dalla progettazione alla esecuzione, fino al collaudo, al controllo e alla manutenzione.
Non dovrebbe essere necessario attendere un nuovo crollo per indagare per via giudiziaria su responsabilità ed omissioni.
Mantenere efficiente ed in sicurezza l’esistente richiede sì delle spese ma certo di gran lunga inferiori a quelle necessarie per le opere faraoniche che spesso vengono proposte e talora anche avviate.
E, soprattutto, è in grado di creare, sul serio, centinaia di posti di lavoro.
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Questo articolo offre la opportunità, ai lettori, di riflettere sul concetto di “manutenzione” che viene definita molto bene su Wikipedia, e cioè: la manutenzione è la scienza, e l’arte direi io, che finalizza le attività umane ad un impiego economico e sostenibile delle risorse, nella progettazione e nella gestione dei sistemi antropizzati e nella conservazione e nella gestione dei sistemi naturali.
La pratica costante della manutenzione, insieme alla ristrutturazione, al riuso ed al riciclo rappresenta, in questa società dedita all’usa e getta, una conconcreta rivoluzione culturale.
L’arte della manutenzione s. l. dovrebbe essere, secondo me, insegnata a scuola.