Riprendiamo oggi il discorso sul sistema giuridico discriminitario di Israele descrivendo gli interventi legislativi che gravano su molti aspetti della vita quotidiana, sociale, lavorativa, politica della popolazione palestinese, inclusi i servizi della salute e dell’educazione.
E’ una vera e propria strategia di “pulizia etnica” messa in atto attraverso una legalità ipocrita.
I differenti trattamenti riservati da Israele agli insediamenti ebraici e alle vicine comunità palestinesi lungo tutta la Cisgiordania, inclusa Gerusalemme Est, sono stati particolarmente analizzati nel rapporto di Human Rights Watch del dicembre 2010, “Divisi e disuguali. Il trattamento discriminatorio di Israele nei confronti dei Palestinesi nei territori palestinesi occupati.”
Un sistema a doppio binario
Esso descrive il sistema a doppio binario di regole, leggi e servizi che Israele mette in pratica per le due popolazioni nelle aree della Cisgiordania sotto il suo controllo esclusivo.
Tale sistema fornisce benefici, sviluppo e servizi preferenziali per i coloni ebraici, mentre impone condizioni aspre ai Palestinesi allo scopo (è questo l’unico significato plausibile) di promuovere la vita negli insediamenti ebraici e soffocare la crescita nelle comunità palestinesi, anche trasferendone forzatamente i residenti.
Un tale diverso trattamento, basato su razza, etnia e origine nazionale, senza altri scopi giustificabili, viola il fondamentale divieto di discriminazione racchiuso nei principi del diritto internazionale.
Il rapporto di Human Rights Watch mostra come le politiche discriminatorie di Israele governino molti aspetti della vita quotidiana dei Palestinesi che vivono nelle aree controllate esclusivamente da Israele, e come simili strategie non abbiano spesso alcuna concepibile giustificazione di sicurezza.
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Il diverso trattamento previsto da leggi, regolamenti e pratiche amministrative predisposte dal Governo Israeliano incide direttamente sui circa 490.000 coloni ebrei e sui 420.000 Palestinesi nelle aree della Cisgiordania sotto il suo controllo esclusivo.
Le implicazioni delle politiche discriminatorie sono, però, molto più vaste, influenzando molti dei circa due milioni e mezzo di Palestinesi che vivono nelle città della Cisgiordania occupata (note come aree A e B), dove Israele ha ceduto la maggior parte delle responsabilità civili all’Autorità Palestinese.
E ciò perché l’Area C contiene quantità sostanziali di risorse idriche, terreni agricoli e da pascolo, e le riserve terriere richieste per lo sviluppo delle città e delle infrastrutture.
L’Area C, controllata da Israele, isola efficacemente città e villaggi che sono fuori dell’area C, in zone non collegate tra loro. Di conseguenza, Israele è in grado di controllare i movimenti tra i centri della popolazione palestinese.
I Palestinesi devono attraversare posti di blocco per viaggiare nell’area C e hanno bisogno di permessi per costruire infrastrutture di collegamento tra città e villaggi (incluse strade, acqua, fognature, piloni elettrici). Spesso è impossibile per città e villaggi palestinesi, accresciutisi oltre le terre municipali, espandersi nell’Area C, dove Israele controlla strettamente le costruzioni palestinesi.
Dal 1967, quando conquistò la Cisgiordania, Israele ha espropriato terre ai Palestinesi per realizzare insediamenti ebraici, ha negato permessi di costruzione, ha demolito costruzioni “illegali” (cioè le costruzioni palestinesi che lo stesso Governo Israeliano ha scelto di non autorizzare), ha impedito ai villaggi palestinesi di svilupparsi o di costruire scuole, ospedali, pozzi, cisterne, ha bloccato gli accessi alle strade e alle terre agricole, ha mancato di fornire elettricità, fognature, acqua e altri servizi alle comunità palestinesi e ha respinto le loro richieste per questi servizi.
Tali misure non solo hanno limitato l’espansione dei villaggi palestinesi, ma hanno creato gravi difficoltà ai residenti, ad esempio la necessità per i bambini di camminare per lunghe distanze per andare a scuola e la limitazione dell’assistenza sanitaria, a cui spesso si può accedere solo attraversando molteplici posti di blocco, dal momento che non vi sono ospedali palestinesi nell’Area C.
Tali strategie non sono state applicate agli insediamenti ebraici, che si sono accresciuti da circa 241.500 abitanti nel 1992 a circa 490.000 nel 2010 (inclusa Gerusalemme Est). I coloni godono di regolari aiuti governativi, inclusi finanziamenti per le abitazioni, l’educazione e le infrastrutture come le strade speciali.
In molti casi nessun ragionevole principio di sicurezza può spiegare il differente trattamento dei Palestinesi, come il rifiuto dei permessi per costruire o riparare case, scuole, strade, cisterne. Con nessuno sforzo di immaginazione la riparazione di una casa può costituire una minaccia alla sicurezza.
In alcuni casi il danno causato ai Palestinesi dalle pratiche discriminatorie di Israele è stato grossolanamente sproporzionato rispetto allo scopo dichiarato, ed è stato messo in atto a dispetto di alternative meno nocive.
Impedimenti alle attività produttive
Per esempio, l’esercito israeliano richiede a molti Palestinesi di ottenere la “coordinazione” militare per accedere agli uliveti ed altre terre agricole, laddove queste terre siano contigue agli insediamenti.
Il principio di questa strategia è quello di proteggere i coloni da potenziali attacchi palestinesi e viceversa di proteggere i Palestinesi da attacchi dei coloni, ma in pratica, attraverso il rifiuto di tale permesso, l’esercito proibisce ai contadini palestinesi l’accesso alle proprie terre per quasi tutto l’anno (per esempio, l’accesso “coordinato” viene ottenuto solo per due settimane all’anno, che naturalmente non sono sufficienti per un’adeguata coltivazione delle terre).
Questo ha portato a un netto calo del rendimento agricolo e a una diminuzione dei mezzi di sussistenza.
Talora le politiche di Israele hanno reso virtualmente inabitabili le comunità palestinesi e hanno praticamente costretto i residenti ad andarsene. Secondo un’indagine del giugno 2009, dal 2000 il 31% dei Palestinesi residenti nell’Area C e a Gerusalemme Est sono stati trasferiti (Save the Children UK, Fact Sheet: Jordan Valley, ottobre 2009).
Non vi è alcuna giustificazione legale per questa disparità di trattamento a danno dei Palestinesi. Viene così violato il loro diritto alla casa, alla salute, alla libertà di movimento, all’acqua, all’elettricità e alle infrastrutture di base, salvo i casi in cui determinate limitazioni siano giustificate da esigenze di sicurezza strettamente mirate.
Alcune compagnie multinazionali hanno direttamente contribuito alle violazioni dei diritti dei Palestinesi, per esempio attraverso attività su terre illegalmente confiscate ai Palestinesi o attività che consumano risorse naturali, come l’acqua o cave di pietra, fornite da Israele agli insediamenti industriali, negandone l’accesso ai Palestinesi.
Queste attività imprenditoriali beneficiano anche di aiuti governativi, abbattimenti di tasse, autorizzazioni e canali di esportazione. Senza poter accedere a questi benefici governativi l’imprenditoria palestinese non può competere con queste compagnie sui mercati palestinesi, israeliani o esteri.
Anche le compagnie, che per la loro attività nei territori palestinesi occupati violano le leggi internazionali, dovrebbero adeguarsi ai loro codici etici e agli standard internazionali, come quello sviluppato dal Rappresentante Speciale del Segretario Generale dell’ONU su affari e diritti umani, o le linee-guida per le compagnie multinazionali della Organizzazione per la Cooperazione Economica e lo Sviluppo (OECD).
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