Fabrizio non ha ancora trenta anni, non è uno sportivo, ma un giovane dallo sguardo acuto, attivo su molti fronti. Da qualche tempo ha scoperto la bicicletta e, con essa, le ombre della mobilità su due ruote nella nostra città. Ecco il racconto della sua esperienza.
Non sono mai stato un ciclista praticante, vuoi perché abito in periferia, vuoi perché la nostra Città – per mancanza di servizi e condizioni di sicurezza – non incentiva la mobilità ciclabile.
Di recente mi hanno incuriosito alcuni fenomeni socio sportivi come la nascita di gruppi di ciclisti che spontaneamente si riuniscono per vivere una città diversa, più sostenibile.
Il gruppo “Ruote libere”, ad esempio, si raduna il martedì in piazza Roma alle 21, in modo da trovare una città sgombera da auto, e si muove per le vie cittadine accompagnato spesso da musica, sorrisi e tanta voglia di socialità, vivendo per qualche ora l’illusione di una Catania ciclabile.
Catania alle condizioni attuali non è in grado di garantire gli standard minimi di sicurezza per chi vuole rinunciare all’auto godendosi una giornata in bici. Lo sa probabilmente anche il Sindaco che, quando gira in bici, spesso si fa scortare dalla polizia Municipale.
A Catania esistono degli stralci di pista non facili da percorrere, non facili da raggiungere, scollegati, incompleti, molto diversi fra loro, poco isolati dalle auto e poco manutenzionati.
Ciò nonostante, sabato mattina decido di passare due orette in bici. Il mio percorso comincia dalla periferia, dal quartiere San Giorgio.
Si va per via Fossa della Creta che non ha neanche i marciapiedi (figuriamoci una corsia ciclabile…), un manto stradale pessimo e la sera un impianto di illuminazione carente. Si prosegue verso Piazza Palestro, piazza dal grande potenziale ma abbandonata al degrado, dove qualche tempo fa il gruppo di ciclisti Ruote Libere è stato aggredito.
Proseguo percorrendo via Garibaldi, necessariamente lungo il marciapiede, un divieto consente l’accesso esclusivamente a bus e taxi. Se ci si volesse avventurare a percorrere la corsia dei bus si rischia di essere travolti da qualche autovettura proveniente in senso inverso.
Si attraversa piazza Mazzini, che potrebbe con poca spesa diventare un punto di sosta per i ciclisti. Basterebbero una rastrelliera per le bici, una pompa per controllare le ruote e qualche attrezzo per la manutenzione dei mezzi per promuovere forme di mobilità alternative ai mezzi a motore.
Dopo piazza Duomo, lungo via Etnea, dopo aver attraversato indenni il caotico incrocio dei ‘Quattro Canti’, si procede bene ma arrivare al Lungomare è un’impresa.
Scelgo di arrivarci percorrendo la ciclabile di via Giovanni Di Prima. Le rampe di accesso alla pista sono generalmente ostruite da auto in sosta ma tutto sommato, tolto qualche dissuasore divelto e mai ripristinato, la pista si presenta abbastanza bene.
Il vero problema sono gli attraversamenti degli incroci con i percorsi carrabili, assolutamente non segnalati né da segnaletica verticale né orizzontale: il segno evidente di come gli amministratori non abbiano cura dei propri cittadini e li espongano a situazioni di grave pericolo.
La pista, come del resto nel caso di altri spezzoni, finisce nel nulla. Raggiungo a piedi la Stazione Centrale e procedo tra le macchine sfreccianti per viale Africa. Dopo le Ciminiere, il marciapiede diventa percorribile anche dalle bici e lo prendo, passando da piazza Galatea fino al Lungomare. Anche in questa tratta potrebbe sorgere una corsia ciclabile collaudata come tale.
Finalmente raggiungo l’acclamata pista da 300 mila euro, lunga appena due 2 km. La commistione di bici, auto e pedoni in corrispondenza delle fermate dell’autobus è un elemento caratterizzante, e ci aggiungerei anche le piante.
Nei periodi in cui non viene eseguita nessuna potatura, le piante invadono la pista rendendola pericolosa. I cordoli bianchi e rossi spesso finiscono per ostruire la corsia e quando vengono ripristinati non sempre vengono allineati.
L’elemento di maggiore criticità restano le auto, talvolta parcheggiate dentro la pista, come accade in corrispondenza del chioschetto mobile “Gelati espressi na Za Rosa” o della “Terrazza Balsamo”. Il vero pericolo però sono le auto in movimento che attraversano la pista a volte anche a velocità sostenuta, ad esempio all’altezza del monumento ai Caduti e del porticciolo di Ognina.
Prossima tappa del mio tour è il porto, che raggiungo percorrendo a ritroso alcuni tratti fino alla stazione centrale. Quanto al “Passiaturi”, è un altro pezzo da rendere ciclabile ma oggi si conclude con una scalinata e, poco prima, con una rampa per disabili priva di parapetto.
Arrivo al porto, ma – una volta superato l’accesso – non mi è viene consentito raggiungere il varco verso la Plaia, nonostante la comunicazione ufficiale del Sindaco che dava per certa l’apertura al transito per i ciclisti.
A questo punto lascio il porto, proseguo per viale Cristoforo Colombo destreggiandomi tra auto e mezzi pesanti e raggiungo la Plaia attraversando il caotico parco del Faro. Al peggio non c’è mai fine, la mattinata si conclude al desolante e mortificato boschetto della Plaia. Ma questa è un’altra storia.
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