Campi di affioramenti, a bassa pressione, di fluidi liquidi e gassosi, e di solidi sotto forma di fanghi; presenza di sali in quantità particolari e temperature medie di 17-18 gradi.
Sono le Salinelle, 3 siti non contigui tra loro, Cappuccini, S. Biagio e Fiume Simeto, di cui si è parlato di recente anche dopo la pubblicazione, su la Sicilia, della lettera in cui tre geologi esprimevano preoccupazione per possibili ed eccezionali emissioni di fango in contrada Cappuccini di Paternò.
Nel comprensorio geotermico de ‘le Salinelle’, rare volte, in passato i getti di fango hanno raggiunto l’altezza di 1,5 m di altezza e la temperatura di 40 gradi, rara anche la sostanziale variazione nella concentrazione dei diversi sali.
Queste eccezionali variazioni sembrano correlate a eruzioni dell’Etna e a terremoti superficiali.
Nonostante le Salinelle siano pubblicizzate come geosito turistico, sono oggi aree degradate, per il totale abbandono pubblico e privato, oltre che luoghi di discarica indifferenziata.
Non così è stato in passato, tanto che presso l’area più estesa, le Salinelle dei Cappuccini, esistono resti archeologici di edifici termali romani.
Possibile che oggi le Salinelle non possano essere gestite in modo più dignitoso?
Sull’utilizzo del sito si è espresso il Centro Geotermico Siciliano (C.G.S.) che ritiene necessario dotarlo di una serie di dispositivi di sicurezza anche semplici, come una recinzione, una segnaletica, una canalizzazione dei fanghi ed un controllo audiovisivo anche remoto, non fosse altro che per garantirne la semplice fruizione turistica.
Ai fini termali si potrebbe progettare, a parere del Centro, una struttura collaterale, moderna, dove praticare cure o trattamenti di benessere.
Nato quattro anni fa, il C.G.S. è un’associazione con “finalità scientifiche, culturali, divulgative e sociali” che intende promuovere studi e ricerche nel settore della geotermia occupandosi anche di divulgazione e formazione.
L’uso scientifico del sito, tutto da progettare, potrebbe prevedere delle stazioni di rilevamento continuo dei gas, delle acque, e delle parti solide, a varie profondità, nei 3 siti messi in rete, da connettere alle diverse attività dell’Etna.
Questi interventi richiederebbero contributi scientifici, tecnici ed economici di alto livello ed un eventuale aggancio -sostengono i geologi del Centro- ad un progetto appena completato, denominato “Hot Earth”.
Si tratta di un progetto europeo, finanziato dalla Regione Siciliana con fondi FERS e diretto da Giuseppe Patanè, docente dell’Ateneo di Catania, che aveva la finalità di identificare aree con potenziale geotermico nella Sicilia Orientale attraverso l’uso di tecnologie e metodologie magnototelluriche, geofisiche sismiche ed elettriche, e geochimiche.
All’interno del progetto “Hot Earth”, è stata studiata un’area distante circa 200 m dalla bocca principale delle Salinelle, in cui è stato realizzato un foro esplorativo profondo 50 m dal p.c., attualmente utilizzato come punto di monitoraggio.
E’ stata così riscontrata, in 10 mesi di ricerche, la presenza di medie entalpie (per temperature dei fluidi compresi tra 90° e 150°) e si sta valutando la presenza delle alte entalpie (per temperature di fluidi superiori a 150°).
Nell’area sono state posizionate sonde per la misura del radon, della temperatura, dell’anidride carbonica e dell’acido solfidrico ed una telecamera termica con l’obiettivo di individuare la presenza di serbatoi di calore e valutare le variazione di grandezze fisico-chimiche a medio termine (un mese) prima di un’eventuale eruzione dell’Etna.
Già rendicontato alla Regione Siciliana, il progetto sarà presentato alla cittadinanza per renderne pubblici risultati e prospettive.
Numerosi altri Progetti sono in corso nel mondo sia ad opera di istituzioni pubbliche che imprese private come il D.D.P., Deep Drilling Project; sono state realizzate delle perforazioni in ambienti geologicamente “particolari”, come nei Campi Flegrei dove è stata eseguita una perforazione ad una profondità di 500 m dal p.c., mentre in Islanda è stata effettuata una perforazione fino al raggiungimento delle zone crostali più calde.
Tali perforazioni sono state realizzate senza problemi di tipo tecnico, apportando alla ricerca scientifica importantissimi risultati.
A proposito delle preoccupazioni per le perforazioni di ricerca, collegate ad alcuni eventi disastrosi come quello avvenuto a Giava nel 2006 e denominato “LUSI”, allorché numerosi villaggi furono sommersi da “fanghi” eruttati in conseguenza delle perforazioni, il C.G.S. ritiene di sgombrare il campo da timori.
In quell’occasione, infatti, si stavano eseguendo perforazioni a scopo petrolifero, che pur essendo simili a quelle geotermiche, hanno sistemi e standard di sicurezza diversi e sotto certi aspetti inferiori.
Se il foro fosse stato finalizzato alla ricerca geotermica, in testa al pozzo ci sarebbe stato il blow out preventer, che è un presidio di sicurezza che non avrebbe permesso la fuoriuscita di fluidi dal pozzo anche se con forti pressioni.
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