Una splendida mattinata di sole, l’Etna innevata sullo sfondo: in questo contesto i ragazzi dell’Istituto Penale per minorenni (IPM) di Bicocca hanno dato la loro collaborazione ai figuranti della comunità di S. Maria del Rosario di Adrano per mettere in scena e rivivere il dramma della Via Crucis.
Hanno voluto essere presenti, aiutati dal prezioso mediatore culturale, anche i ragazzi di religione musulmana, e con i loro abiti migliori, come ci sottolineava una delle educatrici.
Una rappresentazione che ormai non manca quasi in nessun paese, ma che in un carcere minorile può essere vissuta con particolare intensità utilizzando, ad esempio, la chiave di lettura del racconto della Passione che ci ha tramandato il Vangelo di Marco, il più antico dei quattro.
Marco nella sua narrazione sottolinea sistematicamente la solitudine con cui Gesù affronta il passo decisivo della sua esistenza terrena: non solo il tradimento di Giuda, ma anche l’incapacità dei discepoli a condividere la sua angoscia nel Getsemani, la loro fuga al momento del pericolo, il rinnegamento di Pietro, le false testimonianze esibite al processo, il voltafaccia e l’irrisione della folla che pure l’aveva acclamato pochi giorni prima, l’insulto degli altri due condannati, perfino l’abbandono di Dio.
Gesù sembra non avere scampo. A parte il Cireneo, costretto ad aiutarlo, solo alcune donne hanno il coraggio e la forza di stargli vicino sotto la Croce e poi di accompagnarlo al sepolcro. E il primo che ne riconosce la natura divina è un pagano, il centurione.
Senza voler sminuire la gravità dei reati per cui i ragazzi dell’IPM sono stati condannati, bisogna riconoscere che anche loro, in qualche modo, sono vittime di molteplici abbandoni, anche loro sono stati lasciati soli: da parte della famiglia, forse, da parte della scuola, quasi certamente, da parte della società, sicuramente. Una società che ha costruito per loro falsi miti. Ecco perchè i loro sbagli non sono solo di loro.
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Eppure gli errori che hanno commesso non possono essere l’ultima parola sulla loro vita, così come per Gesù la morte non l’ha avuta vinta.
Anche loro hanno trovato, attraverso le persone che, in silenzio e con umiltà, stanno facendo adesso loro compagnia, una possibilità per riscattarsi: il personale del carcere di Bicocca -la direttora, gli educatori, la polizia penitenziaria, gli insegnanti della scuola e dei corsi professionali- e il vario mondo del volontariato che li collabora stanno costruendo per loro una nuova opportunità per quando torneranno alla vita normale.
La validità di questo progetto rieducativo è stata autorevolmente sottolineata dalla presenza di due alti dirigenti nazionali del Dipartimento per la giustizia minorile, venuti appositamente da Roma.
Una nuova famiglia, un’esperienza intensa di comunità in cui imparare nuove e diverse possibilità di relazioni, in cui immaginare una credibile riprogettazione della propria vita, come ha ben sottolineato nel suo intervento finale il vescovo Salvatore Gristina.
Il quale però ha dovuto accettare come un rimprovero, e fare mea culpa, la domanda che gli ha posto uno dei ragazzi: perché, da mesi, non c’è più un prete che venga a celebrare la Messa con noi?
Una domanda che non pesa solo sulla coscienza del vescovo, ma su tutta la comunità cristiana catanese, se è vero quanto si legge in Matteo 25, 39-40: “Signore, quando ti vedemmo in carcere e venimmo a trovarti?” E Gesù: “Tutto quello che avete fatto a uno dei più piccoli di questi miei fratelli, l’avete fatto a me.”