Solidarietà alla Francia e alle vittime dell’attentato al Charlie Hebdo è stata dimostrata venerdì pomeriggio a Catania nel corso di una manifestazione che ci viene oggi raccontata da Ersilia, una studentessa collaboratrice di Argo. Un report arricchito dalle riflessioni sugli eventi che, in questi giorni, hanno insanguinato anche l’Africa.
Pochi gli intervenuti alla manifestazione di solidarietà alle vittime dell’attentato al Charlie Hebdo, nonostante le disponibilità espresse su Facebook, che erano state più di mille. Una partecipazione virtuale o forse solo facebookiana…
Ad organizzare la dimostrazione sono stati alcuni studenti della facoltà di Scienze Politiche, tra i primi Pierre Gilbert, studente francese in Erasmus a Catania. E chi può dire se la proposta di modificare il trattato di Schengen avanzata da alcuni politici italiani non avrà delle ripercussioni anche sul progetto Erasmus…
L’Europa rischia di chiudersi a riccio per non veder minacciata la sua democrazia, e di democrazia si è parlato tanto nel corso della manifestazione voluta, sentita e partecipata soprattutto da giovani.
Sono intervenuti anche alcuni esponenti della comunità musulmana di Catania. Anche loro hanno denunciato l’atto terroristico e si sono difesi adattando in chiave siciliana il parallelismo che in questi giorni dilaga su internet: non tutti i mussulmani sono terroristi così come non tutti i siciliani sono mafiosi.
Il sindacato provinciale dei giornalisti italiani ha ricordato le vittime del terrorismo “nostrano” (Pippo Fava e Mauro Rostagno) nonché Maria Grazia Cutuli “scomparsa in uno scenario di guerra forse non tanto lontano dai fatti che sono avvenuti in questi giorni”.
Tra i presenti c’era anche il console onorario di Francia Ferdinando Testoni Blasco, che si è rivolto così ai giovani catanesi: “Colpire la Francia è sicuramente simbolico, motivato dai valori che il nostro paese ha esportato in tutto il mondo e in tutte le democrazie occidentali”. Ma non è mancato chi, tra la folla, ha criticato il colonialismo francese.
Tuttavia è stato con l’intervento dell’avvocato italo-egiziano Khatab che il dibattito si è infiammato: “Noi siamo contro quello che è successo, tutti i musulmani in Italia e nel mondo condannano questo attentato, però…” e giù tutti ad accanirsi su quel ‘però’. “Però anche loro hanno sbagliato.”
La frase in sé suggeriva di riflettere sul rispetto dei valori altrui, senza per questo voler giustificare un omicidio, ma i presenti erano già lì a polemizzare sulle congiunzioni.
Il paradosso fa quasi sorridere: i manifestanti che protestano a favore della libertà di espressione si accaniscono perché qualcuno ha detto di sentirsi offeso dalla libertà di espressione di un altro.
E mentre noi discutiamo sulla correttezza (semantica? etica?) di una congiunzione avversativa, i politici di destra strumentalizzano l’accaduto per portare avanti le loro campagne elettorali. Mentre sbandieriamo motti europeisti (“uniti nella diversità”) e ci definiamo cittadini europei, rischiamo di dimenticare di essere prima di tutto cittadini del mondo.
Dimostriamo infatti di essere meno sensibili nei confronti delle stragi che avvengono quasi ogni giorno al di fuori della “nostra” Europa. Abbattiamo i confini interni solo per rinforzare quelli esterni.
E’ stato infatti l’attentato alla democrazia occidentale che ci ha fatto scendere in piazza e invadere i social network di hashtag.
Siamo tutti scossi e indignati perché la guerra è entrata nel vialetto d’accesso di casa nostra senza suonare il campanello, mentre finché era solo dall’altra parte della strada (o del mare) non ci toccava più di tanto. Eravamo ormai abituati a vederla dall’alto delle nostre finestre, al sicuro dietro di nostri balconi-frontiere di cemento?
Migliaia di morti in Nigeria, ma è l’attentato al Charlie Hebdo a riempire le prime pagine, i social e le piazze. Non ci poteva essere dimostrazione più lampante della disparità di interesse tra ciò che riguarda noi e ciò che riguarda gli altri.
Quanto alla discussione su dove finisca il noi e dove inizi l’altro, non la affrontiamo, lasciandola ad altra occasione.
Qualcuno organizzerà una manifestazione anche per le vittime di Boko Haram? O per la bambina costretta a farsi esplodere, o fatta esplodere a sua insaputa? Creeranno un hashtag anche per lei?
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Sembra incredibile che ancora oggi si debba morire per la libera espressione delle proprie idee. Tante libertà che gli uomini e le donne hanno conquistato nel tempo, di colpo, sono annullate. Ma non credo proprio che dobbiamo cadere nella trappola di chi cerca di porre gli uomini su fronti contrapposti. Le libertà sono universali, nessuno può essere veramente libero se altri, nello stesso momento sono vessati o resi schiavi da ideologie che negano i diritti fondamentali dell’uomo sanciti dall’ONU. Come dicevano i latini ” Cui prodest?” a chi interessa creare e alimentare il clima di odio che, scatta quasi naturalmente come reazione di difesa? Oggi ci vengono indicati come nemici gli aderenti ad una religione, ieri chi invece aderiva ad una ideologia politica, c’è sempre qualche nuovo nemico da presentare. Come per i viaggi dei disperati che scappano dai fronti di guerra, c’è chi specula e guadagna enormi cifre sulla loro disgrazia, e quì ci vengono additati come persone che ci invadono, che vengono a rubarci chissà che cosa, ma ci vogliamo rendere conto che siamo tutti manipolati? Una volta ci si sarebbe soffermati a fare delle analisi socio-politiche, quando la cultura politica era più diffusa, era un punto di orgoglio cercare di capire oltre le apparenze, di capire i fenomeni storici oltre la cronaca: oggi ci si lascia prendere dalle emozioni ed alle reazioni di “pancia”. Fino a che i morti hanno un colore diverso della pelle, ma come diceva qualcuno, tanti anni fa, quando il Sud Africa lottava contro il regime di apartheid, il colore del sangue è uguale