La possibilità di praticare l’interruzione volontaria della gravidanza in Italia è garantita dalla L. n°194/78. Una legge fortemente voluta dagli italiani, come dimostrato dal chiaro ‘no’ espresso con il referendum del 1981 a chi ne propose l’immediata abrogazione. Figlia della contestazione, la 194/1978 mette nero su bianco il sentire comune di quegli anni tra le fila del movimento femminista, divenendo uno strumento simbolo della emancipazione femminile.
Il suo scopo primario è quello di tutelare il valore sociale della maternità, ma alle nobili intenzioni dei legislatori non corrispondono altrettanto “nobili” piani di attuazione della legge, la cui effettività in Sicilia è a rischio. Perché? Quali sono gli ostacoli che ne impediscono la piena attuazione?
Ne parliamo con alcune ginecologhe catanesi, secondo le quali il problema è dato soprattutto dal ruolo fantasma dei consultori, da una gestione sbagliata del personale medico non obiettore e dall’acquiescenza dei cittadini nell’accettare la inadeguata attuazione di questa legge.
Sin dai primi articoli della 194/78, si capisce che l’aborto è previsto in via residuale. L’intervento deve sempre essere preceduto da una fase di orientamento, consulenza e assistenza durante la quale il medico, lo psicologo e l’assistente sociale hanno il compito di analizzare insieme alla paziente le ragioni che l’hanno condotta a decidere di abortire e, dove possibile, tentare di risolverle (per esempio, aiutandola a far valere i suoi diritti di lavoratrice e di madre) o ragionando su soluzioni alternative.
Solo nel caso in cui l’intenzione della donna non cambi, allora la si sottoporrà all’intervento richiesto in tempi e con modalità previste dalla legge che non ledano la sua dignità umana. Anche dopo l’operazione, comunque, la donna dovrebbe essere inserita in un programma di educazione sessuale e contraccezione.
Per legge (art.9) l’obiezione di coscienza è legittima solo in riferimento all’atto materiale dell’interruzione di gravidanza, ma non per la fase che precede l’aborto né per quella successiva all’intervento, momenti importanti tanto quanto la fase materiale in sé e che dovrebbero servire a prevenire l’aborto.
In queste due fasi, quindi, il medico ha l’obbligo di informare, di dare consigli e supporto adeguato alla donna, ma anche di fornire alla paziente che richiede comunque un aborto i certificati necessari nonchè di prescrivere i contraccettivi richiesti, anche post-coitali (per intenderci, la pillola del giorno dopo, che è un contraccettivo e non un farmaco abortivo).
Invece, nel 67% dei consultori siciliani il personale medico-sanitario è obiettore di coscienza e meno della metà delle donne seguite dai consultori nella fase precedente all’operazione vengono inserite in programmi di educazione sessuale e controlli medici post operatori.
Questa pratica illegale, ma sempre più diffusa, dell’obiezione di coscienza nei consultori di fatto neutralizza il ruolo di questi istituti e quindi la possibilità di scongiurare le cause che conducono la donna a scegliere di abortire. Viene così svuotata di significato la finalità della legge, messa in rilievo anche dal titolo della L. n°194/1978 (“Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”).
Per garantire sia l’esercizio del diritto all’obiezione di coscienza da parte del personale medico-sanitario sia il pieno accesso ai percorsi di interruzione volontaria di gravidanza (IVG), la legge prevede l’obbligo per gli ospedali di attuare procedure di mobilità del personale medico sanitario non obiettore, quando il numero di obiettori è eccessivo rispetto alle richieste di IVG.
Questa pratica, purtroppo, è sconosciuta dalla maggioranza degli ospedali catanesi, la cui situazione è peggiorata dal fatto che, come si legge nell’ultima relazione del Ministero della Salute sull’attuazione della 194/78, la Sicilia “vanta” uno dei tassi più alti di ginecologi obiettori di coscienza (84,5%), con un numero di ginecologi non obiettori inadeguato alle richieste annuali di IVG e non ben distribuito sul territorio. Ciò fa sì che, il più delle volte, gli ospedali
- sovraccaricano di lavoro i pochi medici non obiettori di cui dispongono. Tenuto conto che l’aborto è un’operazione molto avvilente e pesante, è ragionevole prevedere al massimo due sedute settimanali di IVG per ogni medico non obiettore, il quale in nessun caso può essere ghettizzato a fare solo questo tipo di operazione, né può farlo per tutta la vita. In Sicilia, invece, ogni medico non obiettore fa in media 3 sedute di IVG a settimana;
- prevedono tempi d’attesa troppo lunghi. Sono pochi gli interventi svolti con i tempi di attesa previsti dalla legge e addirittura il 5% delle interruzioni volontarie di gravidanza vengono fatte dopo la 13ma settimana di gestazione, limite massimo previsto per legge.
Ciò costringe le donne a rivolgersi ad altre strutture ospedaliere o a pagare per vedersi riconosciuto il diritto ad abortire. In questo la nostra città può fare da maestra, si è infatti diffusa la pessima abitudine di utilizzare l’intramenia per gli aborti. Secondo la legge l’intervento deve essere fatto una settimana dopo la dichiarazione della paziente, ma a Catania (e in tutta la Sicilia) i tempi medi di attesa medi sono circa il doppio.
Alcuni medici approfittano di queste lunghe tempistiche per offrire alle pazienti la possibilità di fare l’intervento in tempi più brevi, ma dietro pagamento. In questo modo il diritto di ogni donna ad essere sottoposta all’intervento in tempi ragionevoli viene comprato, violando anche l’elementare imperativo del buon vivere civile che è l’obbligo di rispettare la fila.
Un primo passo verso un’attuazione più efficace della 194/78 sarebbe quello di rimediare alla cattiva distribuzione sul territorio del già esiguo personale medico non obiettore.
Per farlo, basterebbe rispettare quanto previsto dalla legge: le strutture ospedaliere dovrebbero stipulare delle convenzioni con professionisti non obiettori esterni all’ospedale, pagati a prestazione per fare esclusivamente IVG. A Catania esistono alcuni ospedali che hanno adottato questa tecnica, come il Cannizzaro e il Garibaldi.
Queste procedure di mobilità dovrebbero essere previste anche con medici provenienti da altre regioni italiane, dove il tasso di obiettori è inferiore. In Valle d’Aosta, per esempio, ogni medico non obiettore fa meno di un aborto a settimana.
Insomma, gli ostacoli alla piena attuazione della 194/78 ci sono, ma esistono anche le soluzioni per risolverli. L’auspicio è che si inizi a monitorare il lavoro dei consultori, in modo da ripristinare la loro funzione di informazione e tutela della maternità, nonché di assistenza verso l’atto fisico dell’aborto nel caso in cui questo corrisponda alla volontà della donna incinta; che le strutture ospedaliere sprovviste di personale non obiettore stipulino delle convenzioni con personale esterno, ma anche che la società si batta con più vigore affinchè questa legge sia rispettata, rianimandone lo spirito e le intenzioni originali.