Un grammo di cocaina si trova sul mercato per poche decine di euro, non sorprende quindi che un prezzo basso e una facile accessibilità abbiano fatto crescere anche a Catania il consumo di questa droga ‘performativa’, uno stimolante che migliora le prestazioni e che nasconde i danni alla salute generati dalla sua assunzione.
Se ne è parlato sabato 14 giugno ai Benedettini, nel corso di un convegno, “Catania e la cocaina”, organizzato da Libera, che ha riunito attorno ad un tavolo i principali operatori che sono obbligati a misurarsi con questo tema, dal Comune, rappresentato dall’assessore D’Agata, ai rappresentati delle forze dell’ordine, ai direttori degli istituti di pena, ai magistrati della Direzione Distrettuale Antimafia (DDA).
Un ulteriore tassello dell’impegno di Libera nell’approfondimento dei problemi reali della società, per offrire – tramite il coinvolgimento delle istituzioni – un apporto alla loro soluzione. Presente anche Leopoldo Grosso, vice-presidente del Gruppo Abele, che ha riportato in assemblea l’esperienza di Torino. L’incontro, moderato da Renato Camarda, è stato introdotto da Giuseppe Strazzulla, coordinatore provinciale di Libera.
Non più droga dei ricchi, la cocaina è oggi utilizzata da persone di tutti i ceti sociali e di tutte le età. Offre ai trafficanti altissime percentuali di profitto a fronte di un rischio piuttosto basso.
L’incremento di valore che la cocaina subisce nel passaggio dai produttori agli importatori europei fino alla piazza di Catania è superiore al 100% e di questo enorme flusso di denaro viene intercettato solo il 10%, una piccola percentuale che apparentemente contrasta con i numeri crescenti di arresti, sequestri e confische di cui possono vantarsi le forze dell’ordine.
Ma DDA, carabinieri, polizia e Guardia di finanza sono consapevoli dei limiti del proprio intervento e, come ha detto il maggiore Angelosanto dell’Arma dei carabinieri, si concentrano soprattutto sullo sforzo di riconquistare, nei quartieri a rischio, alcuni spazi da restituire alla cittadinanza.
Altro obiettivo, evidenziato da Antonio Salvago, dirigente della Squadra Mobile, è quello di disarticolare le organizzazioni criminali a partire da un ‘affare’ fondamentale per la loro sopravvivenza. Lo spaccio è gestito infatti dalle famiglie mafiose che tuttavia non sono protagoniste dell’importazione della sostanza, come lo erano negli anni ’70 per l’eroina.
Adesso il grande traffico internazionale è nelle mani di ‘ndrangheta e camorra, che trattano con i fornitori boliviani, uruguaiani, soprattutto messicani. Le organizzazioni catanesi si collocano nella fase terminale della filiera, attraverso i rapporti che intrattengono con ‘ndrangheta e camorra, come ha ricordato il sostituto procuratore Pasquale Pacifico.
Per condurre questo traffico vengono superate anche le divisioni interne tra le varie famiglie, ci si accorda e si mettono insieme i soldi per reperire la liquidità necessaria per l’acquisto e spuntare prezzi più bassi sulle grandi quantità.
Il contrasto tra i clan si sviluppa successivamente, sul controllo del territorio, sull’accaparramento e sulla gestione delle piazze di spaccio, dove si realizzano profitti molto alti, anche 30.000 euro al giorno, una cifra che nessuna estorsione può garantire.
E’ San Giovanni Galermo il cuore dello spaccio metropolitano. La gente fa la fila per comprare come ad un casello autostradale mentre un’organizzazione ‘militare’ gestisce la vendita, con turni di guardia e vedette mobili e fisse. Seguono San Cristoforo e Librino-San Giorgio, ma anche Picanello e Nesima.
Questo colossale giro di denaro sta spostando anche gli equilibri tra le organizzazioni criminali locali, con i Carteddi che, gestendo in esclusiva i rapporti con i casalesi, hanno data la scalata ai vertici del clan Santapaola. Chi ha più soldi, ha più potere, può pagare gli affiliati in carcere, acquistare armi, ma anche favori da parte dei politici.
Può stipendiare la manovalanza che gestisce la vendita su piazza, decine, centinaia di persone, soggetti usa e getta, assolutamente fungibili. Ecco perchè gli arresti, numerosi, producono un danno molto basso alle organizzazioni criminali, colpiscono prevalentemente i livelli bassi, la manovalanza facilmente sostituibile che viene pagata sempre meno.
E’ questo il “risvolto paradossalmente positivo per i clan” ha detto Pacifico, “un piccolo spacciatore riceve oggi 40 euro al giorno invece dei precedenti 70 euro”, una cifra comunque appetibile in un contesto caratterizzato da una disoccupazione giovanile che rasenta il 70%.
Il commercio della Cocaina diventa così un “ammortizzatore sociale”, assicura lavoro a molti giovani dei quartieri a rischio e coinvolge anche le donne.
La crescente incidenza del reato di spaccio tra i detenuti è stata confermata, dati alla mano, per i minori, da Maria Randazzo, direttora dell’Isituto Penale Minorile, per gli adulti da Elisabetta Zito che dirige la casa circondariale di Piazza Lanza.
Spesso i detenuti per spaccio sono anche consumatori, sempre più di cocaina piuttosto che di cannabinoidi. Quando ammettono di non essere consumatori occasionali e riconoscono di avere contratto una forma di dipendenza, possono scegliere di fare un percorso seguiti dal Sert, il servizio pubblico territoriale contro le tossicodipendenza.
Soprattutto in IPM, dove -dice Randazzo- “ci occupiamo di accompagnamento educativo” e dove “i numeri lo permettono”, è possibile attuare interventi educativi individualizzati, ma si avverte la debolezza della risposta istituzionale da parte degli Enti Locali.
Ne è un esempio la gravissima situazione della formazione professionale, soggetta a tagli che hanno causato -come nel caso del CNOS, i cui operatori senza stipendio sono in sciopero- una riduzione delle attività che l’ente compie all’interno dell’istituto. Le lezioni non sono state completamente interrotte solo per senso di responsabilità e spirito di sacrificio degli operatori, ma all’esterno, nei quartieri, lo sciopero ha comportato la sospensione delle attività, lasciando i ragazzi per strada.
La piaga diffusa del consumo e dello spaccio di cocaina non si può ridurre ad un problema di ordine pubblico né affrontare solo con la repressione proprio perchè implica aspetti sociali e culturali.
Non a caso, ricorda Randazzo la recidiva è maggiore tra chi non completa la scuola, non studia, non ha un lavoro stabile, non ha un gruppo organizzato di riferimento per le attività ricreative.
Sull’aspetto culturale si sofferma anche il giornalista Antonio Condorelli nella sua analisi sul comportamento dei giovanissimi, tra i quali l’uso delle sostanze psico-attive, alcool compreso, è una vera emergenza, segno della incapacità di relazionarsi senza l’aiuto di qualcosa che dia “l’illusione di star bene, di stare vivendo”.
Tanto più che, spiega Paolo Castorina, dirigente medico del Sert CT1, uno dei problemi posti dal consumo di cocaina è il cosiddetto ‘ping-pong’ cioè il ricorso agli ansiolitici, o a sedativi come l’alcool, per riequilibrare l’effetto eccitante della droga.
Sull’educazione insiste anche Ferdinando Mazzacuva, tenente colonnello della Guardia di Finanza: nel mercato della droga, sono molto importanti le tecniche di marketing e la ‘pubblicità ingannevole’ che tende ad abbassare le difese e la diffidenza del potenziale cliente.
I discorsi rassicuranti fatti da un amico sotto mentite spoglie o da un compagno di palestra, la droga inizialmente fornita in modo gratuito, sono rivolti soprattutto ai ragazzi, gli elementi ‘deboli’, che in quei momenti sono soli con il proprio bagaglio culturale, che la famiglia e la scuola non hanno talora rafforzato abbastanza.
Ecco perchè l’attività di repressione, afferma Pacifico, è solo una parte della risposta che lo Stato deve dare. Sarebbe importante soprattutto colpire i gangli finanziari, individuare dove vada a finire il denaro che proviene dal traffico degli stupefacenti, ma soprattutto sarebbe necessario un cambiamento di passo della politica.
Come mai -ad esempio- non è stata ancora introdotta in Italia la norma che punisce il reato di autoriciclaggio? Perchè “posso essere perseguibile se riciclo denaro per conto di altri e non se riciclo quello che proviene da attività delittuose che io stesso ho posto in essere?”. Eppure questa norma aiuterebbe a recuperare enormi capitali.
Sull’aspetto normativo si sofferma anche il procuratore aggiunto Amedeo Bertone, che invita ad un dialogo aperto, all’acquisizione di informazioni scientifiche aggiornate prima di legiferare, evitando così “la decretazione di urgenza, un modo non serio di affrontare il problema”.
La complessità del problema non consente scorciatoie, neanche quella della legalizzazione della droga, scelta per la quale, prosegue, “forse non c’è la cultura” oltre al fatto che non è improbabile che le organizzazioni criminali metabolizzerebbero il cambiamento e troverebbero nuovi sistemi per parare il colpo e contrastare gli interventi dello Stato.
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