Olivette di sant’Agata e falafel, aceddu cu l’ova e maamul, buccellati e kataif. E’ stato così, cucinando dolci e altre ricette siciliane, egiziane, libanesi, che mondi diversi hanno provato ad incontrarsi, a mettere in comune non solo i propri piatti ma anche le tradizioni e le culture, all’interno dell’Istituto Penale Minorile di Catania.
Sono una minoranza i ragazzi stranieri all’IPM di Bicocca e sono in genere emarginati e sostanzialmente soli. Non parlano la lingua italiana, non ricevono visite dei parenti, sono oggetto di intolleranza e non per i reati che hanno commesso, ma perchè su di loro pesano pregiudizi radicati.
Per favorire la conoscenza e l’integrazione tra i giovani detenuti di origini e culture diverse è nato ‘Mondinsieme‘, un progetto finanziato dal Dipartimento Giustizia Minorile, elaborato e realizzato dall’IPM di Catania in collaborazione con il Centro Astalli che lo ha gestito attraverso i suoi operatori.
Attorno a cosa fare incontrare questi ragazzi? Intorno ad attività pratiche, un laboratorio grafico, un laboratorio di cucina e un laboratorio linguistico con lezioni di italiano per gli stranieri.
Perchè allora non proporre ai ragazzi la conoscenza e la realizzazione di dolci tipici della cultura mediterranea? Se ne è occupata Elisabetta Pistorio, volontaria del Centro Astalli, docente di religione interessata al dialogo inter-religioso e cuoca per passione.
“Portavo da casa l’impasto già pronto per risparmiare tempo” ci dice Elisabetta “alcune ricette infatti hanno bisogno di una lunga lievitazione, come i maamul, biscotti ripieni di datteri o altra frutta secca, aromatizzati con acqua di fiori d’arancio o rose. Poi in aula lavoravamo la pasta, la modellavamo con le mani o con apposite forme e aggiungevamo gli aromi, i fiori di garofano, la cannella, il coriandolo”.
A volte era lei a proporre una ricetta, altre volte erano i ragazzi a chiedere di preparare alcuni piatti. Per esempio le hanno chiesto di fare i falafel, polpettine di fave tritate a poltiglia, un piatto povero ma saporito, arricchito di molti aromi, coriandolo, curcuma, aglio, cipolla, peperoncino e che va mangiato con crema di sesamo.
A casa Elisabetta studiava, faceva ricerche sulle ricette da realizzare, cercava anche delle immagini belle, di artisti che hanno rappresentato il cibo, e le portava a questi ragazzi “che non hanno avuto dalla vita l’opportunità di conoscere e apprezzare cose belle, beni che non siano solo materiali”.
Scaricava persino la musica araba da far ascoltare in sottofondo mentre si lavorava.
E’ soddisfatta di questa esperienza Elisabetta, ritiene che la cucina rimandi ad un mondo di raffinatezza e offra un approccio alla bellezza che può solo aiutare a star bene, al di là dei confini e delle differenze.
C’è stata da superare la difficoltà della lingua e questo ha reso preziosa la presenza di Abdul, il mediatore culturale, che ha aiutato i ragazzi stranieri ad esprimersi. “Quando lui è stato presente, hanno raccontato molte cose interessanti sulla cultura e sulle usanze della loro terra”.
Tutti i giovani detenuti, egiziani e italiani, hanno dimostrato molto interesse verso il laboratorio di grafica, che prevedeva l’uso del computer. Con l’aiuto e la supervisione di Luigi Russo hanno imparato rapidamente le nozioni di base, dall’impostazione della pagina fino ai fondamenti di Fotoshop. Alla fine hanno stampato dei menù cartacei con le ricette realizzate nel laboratorio di cucina, quasi un ricettario con le foto dei dolci.
Forse nessuno ci avrebbe scommesso ma queste attività pratiche, consentendo una reciproca conoscenza e una collaborazione tra ragazzi di paesi, lingua e religione differenti, sono state un passo importante per superare le barriere del pregiudizio e per predisporre ad un atteggiamento di maggiore accoglienza. Un percorso da proseguire perchè la strada è lunga.
Ecco alcune foto scattate da Luigi Russo e da Marilina Ferrara, un’altra volontaria dell’Astalli, appassionata di fotografia, che ha ‘immortalato’ i laboratori
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Bellissimo progetto! un esperienza positiva per i giovani che hanno potuto condividere la loro cultura attraverso dei piatti tradizionali. Hanno dovuto cooperare e poi hanno dovuto integrare arti culinarie con l’uso del computer (wow persino photoshop!). Bellissima idea e le fotografie sono belle da guardare.