All’economista e filosofo Serge Latouche va quest’anno il premio “Grifone d’oro”, dedicato dalla città di Noto alla memoria di Marcello La Greca, zoologo, appassionato ambientalista e presidente dell’Ente Fauna Siciliana dal 1992 al 2001.
Latouche, atteso dunque a Noto, ha fatto sosta a Catania dove ha riepilogato brevemente il suo pensiero in una significativa lezione tenutasi nell’Aula Magna del Dipartimento di Economia.
Citando il poeta Valery: “Il tempo del mondo finito – ci s’impone senza scampo”, l’economista francese ricorda che ‘i limiti’ che circondano l’uomo, costituiscono, assieme al dato di fatto oggettivo della sua finitezza, l’imprescindibile realtà alla quale da sempre siamo assoggettati.
I limiti di cui ci parla Latouche sono innanzitutto geografici; mai come ora è evidente, oggi che siamo in grado di allontanarci dalla Terra e di fotografarla dall’alto, quanto questo nostro vasto mondo sia in realtà piccolo e fragile, un delicato ecosistema chiuso in sé stesso circondato dal buio, dal freddo e dall’assenza di vita.
I limiti sono anche economici; un territorio finito non potrà offrire che risorse limitate, da amministrare quindi oculatamente e non sperperare. In un mondo che è la casa di tutti i suoi abitatori dovrebbero occuparsi del benessere comune, benessere da estendersi non solo all’umanità tutta ma ad ogni specie vivente, animali e piante.
Secondo Latouche, invece, l’uomo moderno si contraddistingue proprio per la sua folle volontà di emancipare l’essere umano da ogni limite.
Cadono dunque i limiti geografici, non solo per la colpevole presunzione che ci fa agire come se abitassimo un territorio illimitato, ma anche per l’abbattimento delle frontiere, che cancella il pluralismo delle culture, scardina la gabbia identitaria dei popoli a favore di un universalismo individualista, di un’omogeneizzazione culturale e umana dove le differenze non vengono più considerate arricchenti, ma guardate con sempre maggiore sospetto.
La cancellazione dei limiti orizzontali, cioè delle frontiere, secondo Latouche, che cita il lavoro del filosofo francese Badiou, porta ad un indebolimento dei limiti verticali, cioè dei rapporti esistenti all’interno della società, spianando la strada ad un potere che minaccia di diventare ogni giorno più totalitario e repressivo.
L’illimitatezza economica è quindi, nel pensiero del filosofo economista, intimamente correlata al degrado della cultura e della morale. Il desiderio pervertito conduce ad un’avidità sfrenata, ad una brama di consumo che non potrà mai essere soddisfatta.
Illimitatezza economica: sappiamo tutti ormai di cosa si parla; significa una produzione eccessiva di beni quando non inutili destinati comunque ad una rapida obsolescenza, comporta una illimitatezza nello sfruttamento delle risorse, è causa di una illimitata produzione di rifiuti e poiché strettamente legata alla sfera culturale e morale dell’uomo, di un’illimitata creazione di bisogni.
La follia di un simile comportamento sta nel fatto che queste “illimitatezze” operano invece in un contesto limitato. Il pianeta ha dunque una “capacità di carico”, la capacità di auto-riparare il proprio ecosistema e la biosfera, che, essendo stata superata da un pezzo, sta portando al collasso l’intero ecosistema.
L’illimitatezza economica influenza anche la sfera antropologica: l’uomo trasforma sé stesso, la società umana implode, si modificano le relazioni tra i suoi membri.
Non è tenero Latouche nei confronti di quella che definisce la “tecnoscienza”, che inventa macchine che non siamo abbastanza intelligenti per controllare e di cui finiamo per rimanere in balìa, che lusinga subdolamente l’uomo a prendere in mano il suo destino e ad essere l’artefice della propria evoluzione. Ma la Scienza potrà risolvere tutti i problemi che crea? E i tanti nuovi problemi sociali e politici, con cui dobbiamo confrontarci, siamo sicuri possano essere risolti con l’ausilio della Tecnica? La tecnoscienza sembra essere diventata la nuova religione dei nostri tempi.
Latouche non fa mistero della paura e del ribrezzo che gli incutono i “manipolatori dell’uomo” che pasticciano con la genetica nella folle ambizione di creare l’uomo nuovo, il cyber-antropo. Il premio Nobel per la chimica Paul Crutzen ha parlato orgogliosamente di un’era geologica nuova nella quale siamo appena entrati: l’ha chiamata Antropocene, poiché è modellata e modificata quasi interamente dalle attività dell’uomo. Un altro premio Nobel, il biologo Watson, sostiene che è venuta l’ora di modificare l’uomo per adattarlo a vivere in un mondo sempre più compromesso e degradato.
A queste parole la bocca dell’umanista Latouche si piega in una smorfia amara, parla di “delirio di onnipotenza del sogno tecnoscientifico” e denuncia l’oltraggio che viene arrecato all’umanità tutta.
Perché infine la volontà dell’uomo d’infrangere ogni limite approda ad un degrado sì economico, ecologico, culturale, morale, ma soprattutto etico.
Latouche commemora la sapienza antica, quella del mondo greco classico, i miti avrebbero ancora tanto da insegnarci se solo li trovassimo degni di ascolto, perché i miti classici erano lì per dare un senso ai limiti dell’uomo. L’uomo moderno sconfessando i suoi limiti ne ha sacrificato il senso, in una hybris, la tracotanza, la dismisura, che gli antichi giudicavano il sommo peccato e che gli dei sempre severamente castigavano.
Secondo Latouche una “de-crescita serena”, la riscoperta del senso del limite, la rivalutazione del sophronein, la giusta misura, è ancora possibile. La dismisura dev’essere controllata dalla società, che può riportare l’economia all’interno dell’etica, il ragionevole può ancora prevalere sul razionale, ognuno di noi e quindi il demos, il popolo tutto può fare la sua parte in questo gioco di forze. La Good Governance, la gestione delle grandi imprese che è diventato il modello di ogni gestione pubblica, può ancora essere sostituito dal Buon Governo, allora assieme al sophronein, la dike, la giustizia, potrà riaffacciarsi nel mondo.
Come tutto questo potrà avvenire non ci è stato detto nel corso di quest’incontro.
Leggendo i suoi numerosi libri, prodighi anche di consigli pratici, ognuno di noi potrà farsi la propria idea. Fermenti nuovi, seppure deboli, percorrono il mondo, segnali di una prima ribellione, ognuno di noi li può seguire, coltivare, proteggere e diffondere.
A seguire, ecco gli interventi di Serge Latouche e degli altri relatori
Per scaricare/ascoltare l’intervento | clic sull’immagine |
01 Serge Latouche | 02 Giacomo Pignataro |
03 Maurizio Caserta | 04 Corrado Bonfanti |
05 Pietro Alicata | 06 Serge Latouche – conclusioni |
credo che la decrescita sia solo una BUFALA . In economia , la rinuncia al progresso ed al profitto , alla lunga, non paga.
La crisi economica sta cambiando le nostre abitudini e, paradossalemnte, ci insegna qualcosa. Constatiamo che ci sono dei ‘limiti’, impariamo a non sprecare e così via
Che ci sono dei limiti è indubbio. E’ la decrescita che non convince perchè programmare la decrescita e quindi la penuria o la privazione economica o la limitazione della merce immessa sul mercato è un problema di difficile soluzione. Nutro dubbi sulla ” decrescita economica”.
Nutro dubbi sulla decrescita serena. Penso che sarà violenta e difficile a causa della penuria.