Appuntamento a Roma, il 18, per uno sciopero generale, indetto da Cobas e USB per contestare la disastrosa politica sociale ed economica che, gestita prima da Berlusconi e poi da Monti, ha reso ancor più grave la crisi, caratterizzata, oggi, da una recessione drammatica e senza precedenti. Un governo, quello delle cosiddette larghe intese (di fatto commissariato da Commissione europea e BCE) che, secondo i promotori, mentre demolisce lo stato sociale, o quel che ne resta, non fa nessuna delle scelte utili per uscire dalla crisi: massicci investimenti pubblici, redistribuzione di reddito ai salariati, disoccupati, precari e pensionati poveri, stabilità lavorativa, servizi sociali e beni comuni potenziati e tolti dalle mani della privatizzazione e della mercificazione.
La mobilitazione riguarderà anche il mondo della scuola, per il quale i sindacati di base chiedono: massicci investimenti, 300 euro netti di aumenti mensili per tutti, l’assunzione di tutti i precari sui posti disponibili e la restituzione degli scatti di anzianità; mentre rifiutano il sistema dei quiz, l’aumento dell’orario di lavoro, l’introduzione dei BES (bisogni educativi speciali), un espediente per eliminare progressivamente il sostegno.
In vista dello sciopero il Cesp (Centro Studi per la Scuola Pubblica) e i Cobas Scuola hanno organizzato, a Catania, un convegno per discutere della “scuola senza qualità”. Introducendo i lavori, Teresa Modafferi (responsabile Cesp) si è soffermata sui temi generali della mobilitazione e della contestazione della “scuola azienda”.
Nino De Cristofaro (docente del Boggio Lera) ha ragionato su ciò che serve per una buona didattica. Un tema apparentemente semplice se si parte dalle qualità che dovrebbe possedere un buon docente: conoscere la materia, saper trasmettere il sapere, saper gestire il gruppo classe, essere capace di empatia.
Il problema è, anche quando tali qualità ci sono tutte, che il contesto in cui si opera rende ogni intervento estremamente complicato. Infatti, un quadro generale caratterizzato da insopportabili stereotipi sugli insegnanti (lavativi, sempre in ferie…) e da una considerazione sociale sempre meno significativa non può che rendere sempre più complicato svolgere con passione un tale lavoro.
Soprattutto, una buona didattica è in contrasto con le scelte generali di un Paese che non punta, per guadagnare competitività, sulla ricerca e sull’innovazione ma sul contenimento dei salari e che addestra ai quiz, proponendo una didattica utile a imparare rapidamente nozioni senza chiedersene il senso logico o la relativa contestualizzazione.
Altrettanto discutibili sono le scelte di un governo che, con il Decreto legge 104, pretende di arricchire l’offerta formativa attraverso (sic) la riduzione della spesa per l’istruzione e continua a parlare di valorizzazione del merito, pur sapendo che la scuola, per le sue caratteristiche, può funzionare solo in un clima di cooperazione e condivisione del lavoro e non sviluppando meccanismi competitivi.
Diverse le proposte per modificare un tale quadro (ridurre il numero di alunni per classe, migliorare l’edilizia scolastica, garantire il diritto all’aggiornamento, ecc.), ma -durante il convegno- è stato individuato anche un percorso più specifico: organizzare un gruppo di lavoro per proporre una riforma degli esami finali della scuola secondaria (di entrambi i gradi).
Se si cambia la modalità di esame si potranno, infatti, ridefinire materie e preparazione, tornando a formare personalità critiche perché autonome.
Angelo Sciuto (docente in quiescenza) si è soffermato sulla perdita di diritti e di salario che ha colpito il mondo della scuola. Contratti e carriera bloccati, pensioni ricalcolate e ridotte. Una perdita di potere di acquisto che ha notevolmente impoverito tutti i lavoratori della scuola. Riconquistare un salario dignitoso, ha concluso il relatore, rappresenta un primo passo per ridare credibilità all’intero sistema di istruzione.
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