Uno studio condotto dai ricercatori del Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell’Università di Catania rileva un significativo arretramento della battigia in prossimità della foce del Simeto. Arretramento che, negli ultimi dieci anni è proseguito con maggiore intensità, tanto da essere quantificato in circa 200 metri. In questo quadro, se non cambierà nulla, proseguirà inesorabilmente l’assottigliamento della spiaggia e potremo dimenticare l’Oasi del Simeto.
Istituita nel 1984, l’Oasi non incise sull’abusivismo, fenomeno che -iniziato negli anni ’70- non fu mai interrotto, tanto è vero che all’interno dell’Oasi sono oggi presenti circa 3500 abitazioni che non avrebbero potuto/dovuto essere costruite.
La presenza diffusa dell’abusivismo sarebbe una delle cause della velocità con cui prosegue l’erosione. Infatti, come dice l’ingegnere De Pietro di Legambiente, il fenomeno non può essere stato causato né da variazioni del regime pluviometrico della zona (nel corso dell’intero secolo i dati sono costanti), né da una variazione del regime delle onde (anche in questo caso i dati sono coerenti nel tempo).
A suo parere, la costa arretra perché è stato progressivamente diminuito l’apporto dei materiali sedimentari, in conseguenza della costruzione di opere idrauliche lungo gli affluenti del Simeto e perché l’attività edilizia ha progressivamente ridotto la presenza delle dune costiere e delle zone umide retrostanti.
In particolare, “il cordone di dune, oltre a costituire un ambiente naturale di estremo interesse, difendeva il litorale dall’erosione delle mareggiate”. Non viene però ben spiegato come le dune di sabbia, possano costituire una protezione dalla azione delle mareggiate e non essere erose esse stesse, considerando che anche coste rocciose, in altre località siciliane (e non solo), ad esempio Pollina, Castel di Tusa, vengono erose dall’azione delle onde.
In pratica, secondo lo studio, i solidi sospesi trasportati dalle acque del Simeto in condizioni normali sarebbero ogni anno pari o superiori a 2 metri di litorale. Una quantità veramente considerevole…
In ogni caso, sia come sia, l’analisi è confermata (La Sicilia, 15.09.2013) da Agata Di Stefano, docente di geologia marina e prima firmataria dell’articolo, e Angiola Zanini, docente di geomorfologia, che, dati alla mano, prevedono, nel futuro prossimo, un ulteriore aggravamento della situazione.
Allarme condiviso, sempre sul quotidiano catanese, da Carmelo Monaco, docente di Geologia applicata, “in assenza di interventi adeguati, si può prevedere un’ulteriore riduzione, da 20 a 100 metri, del tratto di costa analizzato nei prossimi dieci anni. E ciò potrebbe avere conseguenze catastrofiche per quest’area importantissima sia dal punto di vista naturalistico sia da quello socio economico […] In particolare, ai fini di pervenire a una mitigazione del fenomeno nel tratto di litorale oggetto dello studio, appare fondamentale approfondire le ricerche sull’influenza delle opere idrauliche realizzate nei decenni passati prendendo anche in considerazione la possibilità di rimuovere le più inutili”.
Gli interventi dell’uomo, soprattutto se realizzati senza alcun rispetto per la natura e per i beni comuni, possono essere molto dannosi e vanno quindi monitorati e -se necessario e possibile- contrastati ed eventualmente cancellati, ma non bisogna trascurare che alcuni fenomeni hanno portata universale e sono determinati dalla natura stessa.
L’erosione delle coste, per esempio, è fenomeno presente in tutte le coste italiane e del pianeta in generale.
L’ambiente costiero è un sistema altamente dinamico dove i fenomeni di arretramento, o di avanzamento della linea di costa sono controllati da numerosi fattori meteo-climatici, geologici, biologici ed antropici.
Un’adeguata conoscenza delle molteplici fenomenologie che caratterizzano i litorali è indispensabile per procedere alla realizzazione di interventi strutturali che producano risultati soddisfacenti nella difesa dall’erosione, determinando impatti ambientali sostenibili nel medio e lungo periodo.
A tal fine è necessario un approccio metodologico integrato tra dati geologici e storici, osservazioni sperimentali e modelli teorico-numerici, tenendo opportunamente conto delle indicazioni empiriche fornite dagli interventi già realizzati in situazioni simili (Fonte I.S.P.R.A.).
I modelli di studio ed analisi bidimensionale si sono spesso rivelati inadeguati e nel 2001 al politecnico di Bari fu costruito il primo laboratorio italiano di ingegneria delle coste (LIC), divenuto anche uno dei pochi in Europa, che lavora in 3D.
Fermo restando che il contrasto degli interessi speculativi va perseguito fino in fondo dalle autorità competenti, sotto il controllo della cittadinanza.
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