A Verga sarebbe piaciuto ? Chissà… certo “Ballate d’amore e gelosia” è piaciuta al pubblico presente nel cortile dell’Istituto per Ciechi Ardizzone Gioeni di Catania che ha seguito la drammaturgia di Lina Maria Ugolini tratta dalle novelle di Giovanni Verga, per la regia di Gianni Salvo e le musiche di Pietro Cavalieri.
Come spiega il sottotitolo, c’è un novellante di turno, la musica e la possibilità d’un canto. Nella prima ballata -dalla novella “L’amante di Gramigna”, inserita nella raccolta del 1880 “Vita dei campi”- il novellante di turno è proprio Verga, cui ha prestato voce e volto l’attore Nicola Alberto Orofino.
Viene riassunta la famosa lettera che l’autore scrive a Salvatore Farina -quasi una prefazione alla novella- contenente i principi di quella che si suole chiamare “poetica del verismo“.
Scrive Verga: “Quando nel romanzo l’affinità e la coesione sarà così completa (….), l’armonia delle sue forme così perfetta, la sincerità così evidente, il suo modo e la sua ragione di essere così necessarie che la mano dell’artista rimarrà assolutamente invisibile, allora l’opera d’arte sembrerà essersi fatta da sè ed essere sorta spontanea, senza serbare alcun punto di contatto col suo autore, alcuna macchia del peccato d’origine”.
Tali dichiarazioni vengono già incarnate nell’ “Amante di Gramigna”, sinonimo di “mala erba e malu cori” di cui s’innamora con dedizione quasi incomprensibile Peppa, che coltiva il suo amore sia quando sta con lui, tra le pale di fichid’india, sia quando rimane sola, accovacciata davanti al carcere dove il brigante è prigioniero e dove lei è ormai diventata “lo strofinaccio della caserma”.
La seconda ballata, tratta dalla novella “Pentolaccia” introduce il dramma della gelosia, che rappresenta un grosso tormento per questi uomini dediti solo alla terra e alla fatica.
Pentolaccia è così chiamato perchè aveva sempre la pentola piena tutti i giorni : “Prima Dio e mia moglie” e mangiava e beveva alla faccia del suo padrone don Liborio. Un giorno, però gli dissero che proprio con questo sua moglie lo tradiva. Allora rientrò in casa presto, si nascose e quando don Liborio arrivò, lui “ levò la stanga e gli lasciò cadere tra capo e collo tale colpo che l’ammazzò come un bue”
“Caccia al lupo” è di quasi vent’anni posteriore alle due precedenti novelle. Il pessimismo di Verga si è incupito e i suoi personaggi sono ormai privi di ogni carica passionale ed eroica e ridotti ad un livello animalesco.
In questa novella la gelosia entra in scena prepotente sin dall’inizio, quando il marito Lollo rientra in casa mentre imperversa un terribile temporale. “Ho detto a Bellamà di scavare la fossa, c’è un lupo qui vicino e voglio pigliarlo” –dice alla moglie, che nasconde l’amante in cucina, prima di uscire di nuovo mettendoli prima sotto chiave.
La donna, disperata, si affida alla preghiera, recitando Ave Maria, ma l’amante, ormai prossima, sicura vittima, urla alla donna “Prima dovevi dire le Ave Maria, prima..,.”
Le tre ballate, recitate da un narrante-attore e dalla figura femminile protagonista, sono state abilmente intrecciate dall’autrice e dal regista con canti, intonati dalla donna, che hanno sottolineato la drammaticità dell’esposizione.
Lo spettacolo, breve, essenziale sia nella scena che nella recitazione è stato presentato dagli attori del Piccolo Teatro, che lo avevano già proposto nella scorsa primavera.
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