Il sequestro di un colossale patrimonio costruito attorno alle speculazioni sui parchi eolici in Sicilia e calcolato in un miliardo e mezzo di euro, il più ingente mai fatto in Italia, ha reso ancora più attuale il volume di Giacomo Di Girolamo, Cosa grigia. Una nuova mafia invisibile all’assalto dell’Italia, pubblicato da Il Saggiatore.
Al centro dell’inchiesta sta Vito Nicastri, un oscuro elettricista di Marsala, diventato in breve il padrone dell’intero settore degli impianti eolici.
Le indagini lo descrivono come il semplice prestanome di Matteo Messina Denaro, ma secondo Di Girolamo non è prestanome di nessun mafioso, pur essendo naturalmente in rapporto con questi ambienti, “Nicastri è Nicastri”, il modello esemplare della nuova mafia, la Cosa grigia appunto, caratterizzato da alcune specifiche ‘competenze’ che potremmo definire sistemiche: “conoscenza del territorio, ottime relazioni con funzionari della pubblica amministrazione e pezzi grossi della politica, capacità di intervento nel potere locale, buoni partner finanziari, ottima conoscenza del meccanismo dei contributi e delle agevolazioni.”
Insomma, un vero e proprio manager del malaffare che è difficile far coincidere con l’immagine tradizionale del boss mafioso, alla Riina. Questa vecchia mafia sta pure dentro l’affare, ma solo per gli aspetti di contorno: il cemento, il movimento terra, l’estorsione per l’acquisto del terreno, ma i soldi -quelli veri e quelli grossi- vanno ormai altrove.
Non si tratta però di quella borghesia mafiosa, costituita da professionisti e consulenti di vario genere, di cui la vecchia mafia si è sempre servita per i suoi affari, ma di un diverso sistema criminale -composto da funzionari, politici, imprenditori, consulenti, professionisti, rappresentanti di associazioni di categoria- che ha preso direttamente in mano il giro degli affari che contano e li gestisce senza intermediari né cupole né padrini, senza coppole e senza lupare.
In questo nuovo modello di criminalità organizzata ciò che conta non è infatti l’uso della violenza, ma la capacità intessere e controllare le più eterogenee reti di relazioni con le persone che contano e di connetterle tra di loro, fino a farle diventare sistema. Questa nuova mafia non ha più bisogno di ‘trattare’ con lo Stato perché, in qualche modo, ne fa ormai parte integrante.
Il volume di Di Girolamo, un giornalista ‘di provincia’ ma capace di produrre inchieste documentate come se ne vedono ormai poche, pullula letteralmente di esempi di risorse pubbliche stanziate per le finalità più diverse e finite invece, per un terzo abbondante del totale, nelle tasche di questa nuova mafia: strutture turistiche, agroalimentare, centri commerciali, energie alternative, sanità pubblica e privata, grandi opere e grandi eventi, ma anche i nuovissimi business dei compro oro, delle scommesse, dello smaltimento dei rifiuti e di quelli pericolosi in particolare.
E’ ancora di questi giorni, ad esempio, il sequestro del porto di Trapani e di tutte le opere che erano state avviate nel 2005 in vista dell’organizzazione delle fasi preliminari dell’America’s Cup. Molti di quei lavori, appaltati con la prassi della procedura d’urgenza, sono rimasti incompiuti, quelli completati sono spesso risultati irregolari perché sono stati utilizzati materiali scadenti. I soldi stanziati, però, sono spariti tutti.
Gli esempi di personaggi politici finiti sotto osservazione giudiziaria per presunta contiguità con questo mondo sono numerosi; i più famosi, dalle nostre parti, sono quelli di Totò Cuffaro e Raffaele Lombardo, ma se si va a scorrere la lista di amministrazioni comunali sciolte per infiltrazioni mafiose, si va a scoprire che è parecchio lunga e variopinta secondo tutta la gamma dei colori politici.
Ma questa nuova forma di criminalità organizzata non è particolarmente legata al sole delle regioni meridionali; dato che il suo obiettivo è creare ricchezza illegale, è naturale che si sia impiantata anche nelle regioni del nord, dove di occasioni se ne presentano di più ghiotte. E pazienza se c’è la nebbia.
Protagonista di questa Cosa Grigia da esportazione è stata soprattutto la ‘ndrangheta calabrese, che ha avuto buon gioco a radicarsi in un ambiente dove non esistevano anticorpi, almeno inizialmente, utilizzando persone ‘normali’ anche del luogo -professionisti, manager, imprenditori, commercianti, ristoratori- del tutto incensurate prima di incappare nelle maglie della giustizia. Non c’è regione del nord dove non siano emersi episodi criminali, Lega Nord compresa (qualcuno si ricorda ancora di Francesco Belsito?).
Se, però, nel combattere la mafia tradizionale l’antimafia ha acquisito molti meriti, nei confronti della Grigia sembra non essere culturalmente attrezzata e gira a vuoto, riducendosi a gesti rituali e per questo inefficaci: premi, riconoscimenti, cerimonie pubbliche, conferenze nelle scuole con un pubblico di ragazzi arruolati a forza ma annoiati e distratti. E il moltiplicarsi delle associazioni antimafia e antiracket, assieme all’incapacità di gestire i grandi patrimoni mafiosi che vengono sequestrati e confiscati, più che un segno di vitalità, costituiscono il segnale di un’azione di contrasto che si arrotola su sé stessa.
La stessa approvazione del codice antimafia, fortemente voluto dall’ex ministro Angelino Alfano, si è rivelata un boomerang perché si è limitata a imbalsamare la vecchia legislazione già esistente e non contiene alcuna novità rispetto ai variegati reati di natura economica, soprattutto ai reati di corruzione che costituiscono il vero terreno di incontro tra nuova criminalità, professionisti incensurati, imprenditori spregiudicati e burocrati disponibili.
L’unico appiglio che rimane ai magistrati resta il cosiddetto ‘concorso esterno’, che ha di frequente dimostrato la sua fragilità, soprattutto quando non si riescono a produrre, come spesso accade, prove concrete e inattaccabili di collusione.
Di Girolamo racchiude l’intero fenomeno nella metafora del punteruolo rosso che sta distruggendo tutte le palme. E allora? Siamo di fronte ad un’epidemia senza scampo? Certo la malattia è grave e già ampiamente diffusa, e non sembrano esserci antidoti efficaci, ma già la capacità di collegare assieme, in un solo sistema, fatti apparentemente eterogenei può essere l’inizio di una inversione di rotta. Falcone e Borsellino ce lo hanno insegnato. A caro prezzo!
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ma ci vogliamo rendere conto che tutte queste magagne sono il frutto di una classe politica indegna di gestire le leve del potere? Il caso del processo per piazza Europa è il simbolo concreto del modo come si devasta una città. I grandi marpioni che hanno le mani sulle strade e sulle piazze della città hanno trasformato Catania in un suk. Non c’è più posto per i pedoni. Tulla la città è stravolta da tavoli e tavolini per consentire ai gelatai di servire inmezzo al fumo ed ai gas delle macchine gelatini e pizzette.L’uso di queste aree pubbliche sarebbe fore l’equivalente degli standard urbanistici inesistenti ma ricavabili dalle modeste aree destinate a strade e piazze. Ma dove sono i beni comuni pubblici? Dove stanno i nostri amministratori , impegnati a cercare vori su tutti i fronti per dilapidare le modeste sostanze pubbliche? Lo sanno che è stato approvato un decreto che bandisce dalle cariche poubbliche gli amministratori che hanno riportato condanne per i beni comuni dilapidati? E’ il decreto legislativo 8 aprile 2013 n.39 che bandisce dagli incarichi gli amministratori che hanno riportato condanne anche non defintive per reati contro la PA.Noto però che tutto scorre come l’acqua e che tutti corrono per occupare le poltrone che consentono di disporre delle finanze pubbliche. Chi si oppone? Nessuno. Tutti corrono a vedere le mostruosità della piazza Abramo Lincoln ma nessuno rimproverà a quel marpione di C eG di aver approfittato dei favori di un pubblico amministratore ignorante per occupare uno spazio che non gli appartiene.Non andrei a gustare un cono o a prendere un gelatino in questo locale. Mi disgusta il cattivo gusto e la pirateria del proprietario.
Un esempio di cosa…grigia? Eccolo: Il caso che in Commissione Nazionale Antimafia venne definito “porto delle nebbie” nel denunciare ciò che ancora oggi la destra e la sinistra politica non solo locali, compatte ed unite, vorrebbero trarre dal porto di Catania . A partire da Bianco, passando da Scapagnini e Stancanelli, oggi un commissario portuale stranamente “tecnico” in materia finanziaria e già dirigente dei governi Cuffaro-Lombardo, si accinge a dare corso allo stesso piano regolatore portuale predisposto sotto le suddette tre sindacatore. Precisamente il piano che vorrebbe tramutare le banchine portuali in ricche aree edificabili sulle quali innalzare fabbricati per oltre 500.000. metri cubi dal valore cartolare speculativo vicino al miliardo di Euro.
Con buona pace dei rispamiatori che cascano nelle reti delle offerte finanziarie e dei catanesi che vorrebbero vivere in una città di mare.