50.000 firme entro dicembre 2012. Sono quelle che occorrono per sostenere la proposta di legge di iniziativa popolare sul eddito minimo garantito. Per raccoglierle stanno nascendo in tutta Italia dei comitati aperti alla collaborazione di forze politiche e sindacali, associazioni e movimenti. A Catania l’iniziativa è stata presa da Vittorio Turco, Chiara Rizzica, Barbara Crivelli e Massimo Malerba che hanno promosso un incontro giovedì scorso, 12 luglio, nel salone della CGIL.
Molti gli interventi e molte le questioni messe sul tappeto. Molte anche le perplessità. Dobbiamo necessariamente “rassegnaci” all’idea del lavoro flessibile? Abbiamo davvero bisogno di essere accompagnati nell’uscita dal mondo del lavoro e non piuttosto aiutati ad entrarci? Non sarebbe più opportuno parlare di un reddito di cittadinanza, indipendente dalla questione lavoro? E’ davvero realistica questa proposta in un momento in cui vengono distrutte anche garanzie acquisite?
Non sono mancate anche proposte positive come quella di indicare nella riduzione delle spese per armamenti militari la fonte di entrata necessaria a finanziare la legge.
Le domande rimaste aperte hanno indotto, in chiusura, Rizzica a precisare la necessità di procedere su un doppio binario. Da una parte l’approfondimento del problema nelle sue sfaccettature, e quindi l’organizzazione di momenti di tipo seminariale, che consentano un confronto e un dibattito tra gruppi e tra individui. Dall’altro, il dialogo con la città e quindi la preparazione di momenti pubblici in cui presentare la proposta di legge e raccogliere le firme: assemblee nei quartieri, ad esempio, (non a caso è stato citato un quartiere popolare come san Cristoforo) e poi una grande assemblea cittadina. Il tutto a partire da Settembre, ma cominciando subito a porre le basi delle future iniziative con una Conferenza Stampa da tenere prima della fine di Luglio.
Di fatto, quindi, nonostante i dubbi, il meccanismo è stato messo in moto. E d’altra parte, gruppi politici, sindacati e associazioni catanesi non possono ignorare una iniziativa di carattere nazionale che –come scrive San Precario su Il fatto Quotidiano– “vorrebbe replicare quanto avvenuto per i referendum sull’acqua e sul nucleare”.
Ma c’è di più. L’introduzione di redditi minimi viene caldeggiata da una risoluzione della UE (2010) per “contrastare la povertà, garantire una qualità di vita adeguata e promuovere l’integrazione sociale”, con la precisazione che “anche in periodi di crisi, i regimi di reddito minimo non andrebbero considerati un fattore di costo, bensì un elemento centrale di lotta alla crisi” e che le politiche di aggiustamento dei conti pubblici non possono pregiudicare il diritto in questione.
Per sostenere la campagna di sostegno alla proposta di legge è nato anche un sito, dove sono indicati i gruppi aderenti e si può trovare materiale per la pubblicizzazione e per la raccolta delle firme.
Viene spiegato inoltre, nel dettaglio che i beneficiari del reddito minimo garantito sarebbero tutti gli individui (inoccupati, disoccupati, precariamente occupati) che non superino i 7200 euro annui, che la somma che si percepirebbe sarebbe pari a 600 euro mensili, rivalutati in base al numero dei componenti del nucleo familiare. Sono previste anche modalità di decadenza o sospensione del provvedimento, come le false dichiarazioni, il rifiuto di “congrue” proposte di impiego “dopo il riconoscimento delle competenze formali ed informali” del soggetto, oppure l’assunzione con contratto di lavoro a tempo indeterminato, la partecipazione a percorsi di inserimento lavorativo retribuiti, il compimento dei 65 anni di età.
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