Ci occupiamo ancora della Scuola Superiore di Catania. Lo facciamo stavolta avvalendoci di una testimonianza interna. Ecco come ne parla, pardon ne scrive, uno dei protagonisti della vita di Villa San Saverio, Fabio Giuffrida, studente del quarto anno di giurisprudenza, che riflette sui cambiamenti avvenuti e si interroga su quale sarà il futuro della Scuola.
Dopo la tempesta dell’anno scorso, una quiete (apparente?) avvolge la Scuola Superiore di Catania e le sue vicende. Chiuso il periodo delle proteste, a settembre si è regolarmente tenuto il concorso di ammissione e nuove matricole hanno iniziato il loro percorso. Cosa hanno trovato nella pittoresca sede di Villa San Saverio che li ha accolti? Vediamo.
Innanzitutto, dette matricole sono state selezionate all’esito di prove svoltesi pressapoco come nel passato, con l’eccezione che vi hanno potuto prendere parte solo i “centisti”. Che il massimo voto alla maturità implichi una maggiore propensione o idoneità all’“eccellenza” è, però, tutto da dimostrare, o meglio, indimostrabile. Privare a priori della possibilità di mettersi alla prova tutti gli altri diplomati riduce drasticamente il bacino d’utenza della Scuola, senza nel contempo essere garanzia di alcun reale miglioramento. Come a dire, oltre al danno la beffa.
Con riguardo alla didattica, i corsi sono addirittura aumentati rispetto al passato, ma guardando meglio si scopre che sono stati spezzettati, in tre o più unità da (massimo) nove ore ciascuna, tenute da professori diversi. Questa frammentazione che, nella maggior parte dei casi, non può che rivelarsi nociva per l’organica trattazione di un unico argomento (o che, viceversa, impone di affrontare tre questioni diverse in tempi ridotti) è una delle altre nefaste conseguenze dell’assorbimento della Scuola nell’Ateneo di Catania: non è più possibile assegnare la docenza dei corsi senza previo bando.
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È evidente a tutti l’aut aut grottesco che ne deriva. O dividere i corsi in più unità sì da considerarli “seminari” e dunque porli al di fuori della rigida logica del bando, consentendo, come nel passato, di assegnarli direttamente a un docente prescelto sulla base di ponderate valutazioni dei tutor degli allievi, d’intesa con gli stessi e con i responsabili della didattica della Scuola. Oppure seguire l’iter burocratico tradizionale, da cui discendono una serie di corollari. Uno tra tutti, l’obbligo di dare la precedenza ai professori dell’Università di Catania: eppure, una delle componenti necessarie, non solo dell’“eccellenza” ma di qualunque serio e costruttivo percorso accademico/culturale, dovrebbe consistere nel confronto con le altre realtà universitarie nazionali e internazionali. Eccellenza non fa rima con (rischio di) provincialismo.
Altro cambiamento: da quest’anno, i servizi residenziali non sono più gratuiti e la Scuola non provvede al rimborso tasse né eroga alcun contributo didattico. Al di là della campagna disinformativa e faziosa che, brandendo la spada (o la ghigliottina?) del diritto allo studio, ha cercato di dipingere questi cambiamenti come “cancellazione di privilegi”, la verità è un’altra: fino ad ora, la gratuità dei servizi, il rimborso tasse e il contributo ci sono stati riconosciuti in quanto regolari vincitori di un concorso pubblico e fino a che avessimo rispettato, anno per anno, gli obblighi didattici previsti (media del 27, ecc.).
Ora, invece, scompaiono questi diritti e restano fermi tutti gli altri obblighi, tradendo una più che ragionevole scelta fatta anni fa da chi fortemente volle questa istituzione modellandola sulle storiche esperienze delle Scuole pisane: tracciare una netta linea di distinzione tra una qualunque residenza universitaria e quello che dovrebbe essere un luogo di alta formazione, rischia di diventare oggi, anche sotto questo aspetto, sempre più difficile.
Eliminare la gratuità significa anche rischiare di allontanare dalla vita in comune una fetta degli studenti della Scuola, specie chi proviene da Catania e dintorni e, soprattutto, perdere appeal su tutto il territorio italiano e non solo: se la meritata fruizione gratuita dei servizi residenziali poteva essere un valore aggiunto che richiamava a Catania studenti da tutta Italia e dall’estero, oggi non è più così. Prova ne è che delle nuove matricole solo una non è siciliana. Se a ciò aggiungiamo che l’obbligo di residenzialità è stato rimodulato nel senso che l’allievo deve optare a inizio anno se risiedere o meno a Villa S. Saverio, risulta chiaro che uno degli elementi formativi più importanti dell’esperienza umana e culturale della Scuola, la vita in comune, rischia di vacillare.
Ma ciò che più di tutto ci fa guardare perplessi al futuro è… che non sappiamo se avremo un futuro. Nel 2013 non dovremmo più percepire i finanziamenti del Ministero e della Regione. Cosa ci attende dopo? La strada più sicura sarebbe quella che nel passato si era cercato di percorrere: attivare una politica di ricerca fondi per rendere la Scuola autonoma rispetto all’Università. Ma la dirigenza attuale sembra avere a cuore tutt’altre questioni, e su quello che sarà il destino della Scuola nicchia costantemente.
Staremo a vedere se qualcuno preferirà scrivere sbrigativamente la parola “fine” al termine di questo secondo, grigio, atto o se, all’indomani dei radicali cambiamenti che a breve coinvolgeranno l’Università intera, qualcun altro avrà il coraggio e la voglia di cominciare a scrivere il terzo.
Fabio Giuffrida