Da un lato tagli degli investimenti (8 miliardi di euro in meno in tre anni), aumento del numero di alunni nelle classi (classi pollaio) e riduzione delle ore di lavoro, dall’altro la pretesa di misurare lo stato complessivo dell’istruzione, stiamo parlando della scuola pubblica statale, per ridefinire salari e investimenti. Lo strumento individuato dalla Gelmini e mantenuto dal nuovo ministro, Profumo, è la somministrazione dei test, o per meglio dire quiz, Invalsi.
Come nello scorso anno scolastico, ancora una volta i Cobas scuola denunciano questo stato di cose e invitano alla mobilitazione. Nella conferenza stampa, tenuta a Catania venerdì 27 gennaio, gli esponenti del sindacato di base hanno spiegato i perché della loro contrarietà e indicato possibili soluzioni alternative.
Che la scuola abbia bisogno di profondi cambiamenti è un dato incontestabile, che tali novità debbano essere coerenti con lo spirito e la lettera della nostra Costituzione non sembra essere altrettanto condiviso. Per i Cobas è decisivo programmare il lavoro in rapporto al contesto socio-culturale in cui si opera, valutarne coerentemente i risultati e, nel caso, procedere con le dovute rettifiche.
Viceversa, i quiz, uguali in tutto il Paese, possono solo fotografare acriticamente lo stato di cose presente e cogliere solo in parte i problemi, poiché vengono valutati i risultati e non le procedure. Infatti, come scrive U. Galimberti “il metodo selettivo a quiz resta comunque il peggiore perché verifica solo (quando ci riesce) l’intelligenza binaria dei candidati”.
Inoltre, avvalendosi di una tale metodologia assolutamente discutibile, il Ministero pretende di differenziare il salario degli insegnanti (i bravi, quantificati al massimo nel 25% dei docenti, dovrebbero guadagnare di più) e di differenziare gli stessi finanziamenti destinati alle singole scuole. Rovesciando, peraltro, ciò che dovrebbe pensare qualsiasi persona di buon senso: se una scuola “lavora peggio” proprio in quella scuola, se si vuole superare il problema, andrebbero investite più risorse, culturali e materiali.
Secondo i Cobas, è dunque necessario impedire che questa pseudo valutazione vada avanti. Visto che non c’è alcun obbligo alla loro somministrazione (tranne nelle terze classi della scuola secondaria inferiore), vengono invitati i Collegi Docenti, cui spetta –per legge- la possibilità di modificare il piano dell’attività didattica, a discutere dei quiz e a rifiutarne l’utilizzazione. Anche perché se si crea nelle scuole un clima stupidamente competitivo, tutto ciò determinerà un passo indietro in tutta la comunità educativa.
Per i Cobas non è però sufficiente rifiutare i quiz, ma occorre lavorare nella direzione della riqualificazione della scuola pubblica statale. Per far ciò propongono: aumento degli stanziamenti (riducendo, ad esempio, le spese militari) e diminuzione degli alunni nelle singole classi (tra 20 e 25); formazione dei nuovi insegnanti (cui nessuno ha mai “insegnato a insegnare”) da svolgersi nel primo anno di lavoro, in un rapporto alla pari con i colleghi più anziani; formazione permanente per tutti gli insegnanti anche attraverso l’istituzione dell’anno sabbatico; potenziamento dell’attività di programmazione e multidisciplinare.
Un insieme di proposte che, secondo i Cobas, può contribuire ad avviare un processo utile per difendere la scuola pubblica statale, che per loro deve essere qualificata e di massa.
Per conoscere in modo più approfondito l’analisi e le proposte dei Cobas, leggi il loro documento
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