“Non è democratica una scuola che insegna solo a pochi, ma non lo è nemmeno una scuola che insegna poco a tutti”. Così scrive Graziella Priulla nel suo recente saggio L’Italia dell’ignoranza pubblicato da FrancoAngeli, una fotografia attenta, documentata e appassionata della scuola italiana.
Scuola di massa, spiega Priulla, non significa necessariamente scuola di basso livello: “inclusiva“ e “rigorosa” non dovrebbero essere “aggettivi antitetici”, come dimostra la lezione di Don Milani, che lavorava con ragazzi deprivati senza per questo adottare una “pedagogia giustificazionista e permissiva”.
Il progressivo impoverimento della formazione fornita oggi dalla scuola è però sotto gli occhi di tutti. Le cause sono molte e Priulla non si limita ad analizzarle, ne individua anche le interconnessioni.
- La conoscenza non è più considerata un valore, né uno strumento di crescita e di successo. Non lo è dai ragazzi ma, ancor prima, dalle famiglie e dalla società tutta. Così come non lo sono il merito e l’impegno. L’intera gerarchia sociale è ormai basata su altri valori, sul denaro, sul potere. Questo determina nei giovani alunni una perdita di senso, più grave di qualunque forma di insofferenza possano aver vissuto le generazioni precedenti.
- E’ venuto meno il prestigio sociale degli insegnanti. Il loro ruolo è ormai declassato e scarsamente appetibile, e non solo (ma anche) per la inadeguatezza degli stipendi. Ce lo confermano i dati relativi al livello sociale delle loro famiglie d’origine, sempre più basso. Ce lo conferma l’atteggiamento tenuto nei loro confronti dalla maggior parte dei genitori, i primi a non credere all’utilità della formazione scolastica, a non rispettare il ruolo dei docenti e a guardare alla scuola come una minaccia da cui difendere i propri figli. Gli insegnanti possono ormai contare solo sulla propria autorevolezza personale, basata su competenze non solo disciplinari ma anche relazionali.
- Manca un serio impegno dei governi per la crescita della scuola pubblica. Sull’istruzione non si fanno investimenti né si progettano soluzioni a lungo termine per il “dissesto intellettuale”. Prevale la “filosofia dell’immediato”, si parla in modo salottiero di questioni delicate come la didattica e si diffondono immagini caricaturali degli insegnanti (“fannulloni”) con la conseguenza di minare la fiducia nella istituzione-scuola. Problemi complessi come quelli del reclutamento degli insegnanti, del loro aggiornamento e della valutazione del loro lavoro vengono affrontati in maniera improvvisata.
- Sono state introdotte una concezione e una terminologia di tipo aziendalista, con conseguenti distorsioni. Le bocciature, ad esempio, vanno evitate perché fanno cattiva pubblicità alla scuola-azienda, il giudizio critico (pericoloso per il preside-manager) viene scoraggiato o addirittura punito, l’offerta formativa viene magnificata, per scalzare la concorrenza, con “opuscoli rutilanti” a cui in genere non corrispondono progetti e strumenti realmente all’avanguardia. La ricerca della “produttività immediata” nulla ha però a che fare con la scuola, ambito in cui “ogni investimento è a lungo termine, dove centrali sono le persone, dove le relazioni sono delicate e fragili”.
- Non viene riconosciuta l’importanza dell’educazione linguistica. E’ questo un nodo centrale del saggio. Sulla base di statistiche ufficiali sappiamo che ben 36 milioni di italiani non comprendono il linguaggio scritto. La loro alfabetizzazione è solo apparente, si riduce alla capacità di identificare i segni senza che ci sia la comprensione di ciò che si legge. Si crea così un circolo vizioso: meno si legge e più si ha difficoltà a leggere, e infine si smette di leggere. Al posto dei pensieri complessi si affermano le banalità e le espressioni stereotipate, con conseguenze devastanti per la vita civile. E’ noto infatti che “il progressivo contrarsi del linguaggio abbia per effetto prima l’impoverimento, poi l’inibizione del pensiero”.
Questa scuola disastrata è anche una scuola che continua a “segnare inesorabili confini di classe”. Permangono squilibri geografici e sociali. Il livello di apprendimento, per esempio, è più basso al Sud che al Nord ed è fortemente legato al livello culturale, più che economico, dei genitori, tanto è vero che i figli dei laureati hanno più probabilità di iscriversi al liceo e di laurearsi a loro volta. Quanto al territorio, esistono differenze anche tra una scuola e l’altra, tra un quartiere e l’altro.
La scuola potrebbe e dovrebbe, invece, contrastare le disuguaglianze di partenza. Dovrebbe cioè “compensare con risorse aggiuntive e occasioni formative migliori e intensive” gli svantaggi familiari e territoriali degli studenti. Solo così sarebbero rimossi “gli ostacoli che limitano di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini”, come recita l’articolo 3 della Costituzione.
Sono ormai fuori dalla scuola e forse faccio male a prendere la parola, anche perchè non sono stato presente alla presentazione del libro.
Tuttavia mi sia concessa qualche battuta su “L’Italia dell’ignoranza” che pur se non mi “spettava”, ho letto.
Sarebbe stato più bello se l’avesse scritto 10 anni fa.Scritto oggi, questo saggio non “sorprende” proprio nessuno di coloro che hanno vissuto e vivono a scuola in modo consapevole; non aggiunge nulla agli “strunmenti investigativi” sulla condizione della scuola che egli già non possieda.
Dopo la lettura, quello che se ne ricava è che è un libro scritto bene, con competenza di analisi e adeguata documentazione, ma che è un libro che non dice e non scopre niente di nuovo, ma proprio niente di nuovo. E’ come, mi si passi l’accostamento, una profezia post eventum.
La scuola di massa non deve significare scuola di basso livello?
Lo sapevamo già da tempo. Da tanto tempo se ne discute. Da tanto tempo quello di risollevare la fisionomia culturale della scuola è un obiettivo centrale di mobilitazioni e di lotte.
La scuola dovrebbe essere rigorosa?
Non è una novità di questi giorni.Molti insegnanti (ma anche non insegnanti) lo dicono da un pezzo.
La conoscenza non viene considerata più un valore? Altri sono i valori dei giovani e delle famiglie?
Si sfonda una porta da lungo tempo aperta.
Gli insegnanti hanno perso prestigio? I genitori sono “arroganti” nei loro confronti? La propaganda becera diffonde immagini caricaturali degli insegnanti? Etc, Etc, Etc…..
Si sanno da tempo anche queste cose e sono stati e sono ancora gli obiettivi contro i quali si concentra l’attenzione critica degli insegnanti più avvertiti e della opinione pubblica più cosciente.
Ma forse il libro è utile come vademecum per le nuove generazioni? Forse è così. Lo dico senza ironia.
Non voglio andare oltre e se qualcuno non la pensa come me, mi scuso con lui. abbracci Cicci
Caro Cesare
innanzitutto sono lieta di risentirti: affettuosi auguri di buon anno.
Ti sono grata di aver letto il mio libro, e ancor più di averlo commentato.
E’ verissimo che non dice nulla di nuovo: si limita a collegare dati risaputi per gli addetti ai lavori (o almeno, quelli consapevoli) con riflessioni nate da un’esperienza che si è fatta sempre più deludente col passare degli anni.
Il paradosso è che mentre libri precedenti con dati “nuovi” non avevano suscitato reazioni apprezzabili, intorno a questo si è espresso un grande stupore da parte della stampa (da Repubblica all’Unità a Famiglia Cristiana alle riviste femminili a Rai 3 a Otto e mezzo): segno che spesso quello che diamo per scontato scontato non è.
E’ una cosa che ho capìta tardi, e che ormai applico anche alla didattica: invecchiando ho superato il timore di essere banale.
Anch’io lo dico senza alcuna ironia.
Un abbraccio affettuoso
Graziella
Carissima, ricambio e raddoppio gli auguri.
Scusami se, a causa della mia mentalità un pò “disturbata” da antiche, forse nostalgiche,visioni militanti, peraltro ormai solo “usurpate”, ho trattato il tuo saggio in modo un po’ brusco.
Il fatto è che per colpa o in virtù di questi “residui ideologici”, cui accennavo, non riesco a considerare gli inerventi su problemi che riguardano apetti importanti della società -come il tuo saggio- se non all’interno e in vista di una “spendibilità”, tout court,ed efficacia sul piano politico. Questa “forza”, mi è sembrato non avesse, il tuo libro a causa della scarsità di proposte che non fossero datate
E’ per questo che mi è sembrato un libro, scritto bene e bene argomentato, ma “fuori tempo massimo”.
Tu mi dirai: “ma un saggio sulla scuola deve essere come un vademecum di lotta per gli insegnanti?” No! Hai ragione tu, non può essere.
Ma io non posso cambiare alla mia età e con questo ti saluto affettuosamente. Cicci
Ho terminato “L’Italia dell’ignoranza”,avvincente come un mistery e utile come una borraccia d’acqua nel deserto. L’ho già consigliato a diverse amiche ed amici. Sono una maestra con più di 30 anni di ruolo e quindi ho vissuto diversi modelli di scuola: da quelli partecipati,democratici, appassionati a quelli tutto gerarchia,”autonomia”, funzioni obiettivo, strumentali,pof, fis, portfolio in un crescendo di avvilimento e povertà di pensiero e di riflessione professionale personale e collettiva.Il suo saggio ha dato sistematizzazione e senso a considerazioni che non trovavo modo di esprimere con le dovute argomentazioni e spinto all’approfondi-
mento grazie alla ricca bibliografia e puntuale corredo di dati.E’ una lettura che lascia il segno, da ri-pensare, con molti interrogativi e
con la preoccupante sensazione che si sia andati oltre il rimediabile.Ma è solo una sensazione: le maestre non s’arrendono mai.Ancora grazie per la sua fatica.