Scuola Superiore di Catania, il miraggio dell'autonomia

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Anche se il consenso non è stato unanime, l’iniziativa  è comunque partita. La Scuola Superiore di Catania, pensata per valorizzare le eccellenze della città, della regione, del Sud, è diventata realtà. Accennando due giorni fa alla sua crisi, ci siamo ripromessi di ricostruirne la storia. E manteniamo la promessa.
Istituita in via sperimentale sulla base di un accordo di programma tra Ministero e Università di Catania (1998), dovette trovare ulteriori  finanziamenti mediante l’istituzione di un Consorzio (1999) di cui facevano parte non solo Enti locali come Regione, Provincia e Comune, ma anche l’Università di Messina, l’INAF, l’Accademia Gioenia, la ST Microelectronics e persino l’Ordine dei Commercialisti. Forze varie quindi, e non tutte esclusivamente locali. La prospettiva appariva interessante a vari livelli e l’orizzonte si allargava.
Dopo cinque anni di sperimentazione la Scuola non ottenne l’autonomia cui aspirava, che fu invece concessa all’IUSS di Pavia. Fu disposta la sua collocazione nell’ambito della Università di Catania in previsione di un “accreditamento” da definirsi con decreto ministeriale nel caso di valutazione positiva del CNVSU (Centro Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario). La valutazione positiva c’era stata già nel 2001 e nel 2003. Ce ne sarà un’altra nel 2008, ma il percorso di accreditamento non fu mai avviato.
Niente autonomia quindi, nonostante la stipula di un secondo accordo di programma (2005) e una nuova richiesta avanzata nel 2007 , caldeggiata anche dalle Università di Palermo, Cosenza, Sassari e Napoli II, nonché dalla Fondazione Banco di Sicilia e dalla ST Microelectronics, tutti concordi nel riconoscere la Scuola di Catania come loro centro di riferimento per la formazione di eccellenza.

Senza l’autonomia, che caratterizza le Scuole pisane e permette l’accesso ad appositi fondi, veniva meno l’obiettivo più importante per la sopravvivenza e la piena libertà della Scuola. Nessun ministro, di nessun governo, ha avuto il coraggio o la volontà di fare questa scelta. E nessun seguito ha avuto la nota con cui la Gelmini informava, nel 2008, il sottosegretario Pizza di “aver dato mandato agli uffici competenti di delineare il percorso di completamento del processo di istituzionalizzazione della Scuola Superiore di Catania”.

Dell’autonomia, in questa fase, era diventato fautore anche l’attuale Rettore, preoccupato di non poter sostenere gli oneri del finanziamento della Scuola. E’ stato proposto anche un accordo tra Ministero e Regione per utilizzare i fondi strutturali assegnati a quest’ultima ed è stata ventilata l’idea della costituzione di una Fondazione.

Fino al 2008, mentre i responsabili della Scuola, in successione i professori Rimini, Rizzarelli e Pignataro, combattevano la battaglia per garantirne la sopravvivenza e la qualità, la vita della Scuola continuava a pieno ritmo. Arrivavano docenti prestigiosi dall’estero, che soggiornavano quasi sempre nella residenza insieme agli alunni, determinando uno scambio con ricadute positive per tutti.

La convivenza di alunni di facoltà diverse permetteva un confronto e un arricchimento reciproco. L’informatica e lo studio di almeno due lingue, i corsi interdiciplinari proposti dalla Scuola e finalizzati alla formazione globale della persona, l’introduzione precoce alla ricerca davano i loro frutti. Qualche studente ha pubblicato ancor prima della laurea triennale. C’è stata la creazione di una biblioteca autogestita, mentre attività culturali spontanee rendevano più varia la vita della residenza: dai cineforum alla lettura integrale della Commedia, non certo riservata ai letterati.

I ricercatori e i docenti dell’Ateneo hanno dato un grande contributo: hanno ricoperto le funzioni di tutor (ogni ragazzo ne ha avuto uno), hanno tenuto i corsi integrativi con una remunerazione su base oraria e, quando i fondi scarseggiavano, anche gratuitamente. Lo hanno fatto volentieri perchè gli studenti eccellenti sono sempre occasione di stimolo.

Eccellenti e non necessariamente figli di papà. Perchè il criterio di ammissione è il merito, solo il merito. Purtroppo nella nostra Italia e nonostante una Costituzione che prevede che vengano rimossi gli ostacoli che impediscono una piena uguaglianza, i figli delle famiglie meno abbienti hanno di fatto meno opportunità di avere stimoli alla loro intelligenza. Ma è anche vero che spesso i giovani delle famiglie modeste hanno più voglia di farsi avanti, si impegnano con più determinazione dei loro coetanei “più fortunati”. Comunque non ci sono preclusioni di carattere economico per entrare. E vitto e alloggio sono gratuiti, o almeno lo sono stati fino ad ora.
Nessuna volontà da parte nostra di tratteggiare un quadro solo idilliaco della Scuola. I conflitti interni ci sono stati, gli studenti stranieri hanno avuto difficoltà ad integrarsi, questi ragazzi -troppo bravi- hanno magari un po’ di complesso di superiorità, come talora anche i Normalisti pisani. Resta il fatto che una esperienza così si dovrebbe migliorare e non distruggere. Come sta accadendo. E cercheremo presto, nel dettaglio, di capire il come e forse anche il perché. A partire da una ricostruzione dell’ultimo biennio di vita della Scuola, sul quale ci soffermeremo la prossima volta.

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