Ritorna, implacabilmente da 15 anni, Expobit 2010. Le formule di presentazione sono di quelle pesanti: Il Salone Euromediterraneo dell’innovazione tecnologica. Il più importante punto di incontro per gli operatori e gli appassionati di informatica e nuove tecnologie.
In un’edizione che si autodefinisce “rinnovata”, quest’anno si presenta distribuita in cinque aree tematiche dai nomi roboanti: home automation, building automation, tecnologie verdi, tecnologie wireless, touch, tecnologie legate alla salute.
Anima industriosa di questa iniziativa è il presidente Maurizio Ninfa, personaggio dell’enturage di Raffaele Lombardo, che probabilmente non ha da risolvere il problema di come trascorrere i week-end, se trova anche il tempo di occuparsi, in veste di direttore, dello Sportello per l’Internazionalizzazione della Regione Siciliana (Sprint), della Strada del vino dell’Etna, sempre come direttore, nonché, questa volta come presidente, della Federazione delle “Strade del Vino e dei Sapori di Sicilia”.
La manifestazione vorrebbe anche essere una finestra sui prodotti che vengono realizzati in Sicilia e rivolgersi a imprenditori, manager, professionisti, funzionari della Pubblica amministrazione, operatori della comunicazione.
In effetti, a visitarla con cura, due o tre stand, anche siciliani, che offrono qualche prodotto o servizio interessante, per esempio nel campo della domotica o delle energie alternative, si finisce per trovarli. Ma le grandi realtà produttive locali, per esempio le aziende ad alta tecnologia attive nelle nostre aree industriali, sono del tutto assenti. Per il resto quindi si tratta di una normale manifestazione commerciale.
Ciò che invece appare, con molto evidenza, agli occhi perplessi di un visitatore semplicemente ‘curioso’ delle nuove tecnologie, è la straripante presenza di stand, anche molto ampi, di espositori cosiddetti ‘istituzionali’ – come la Regione Sicilia, le finanziarie regionali, i consorzi industriali, start -up, spin-off, distretti tecnologici, centri di ricerca, parchi scientifici – quasi sempre desolatamente vuoti e comunque poveri di materieli e idee in esposizione.
Assieme a loro occupano quasi tutto il primo piano delle Ciminiere gli stand, piuttosto ripetitivi in verità, di tutte le Armi facenti capo al Ministero della difesa, nonché dei Carabinieri, della Polizia di Stato e della Guardia di finanza, che mettono in mostra il meglio delle tecnologie da loro utilizzate.
La novità di quest’anno è poi costituita dalla discesa in campo – ormai è una moda dilagante – di molte aziende sanitarie e ospedaliere della Sicilia orientale, ma non solo, che nella maggior parte dei casi si limitavano a presentare, assieme a qualche sparuta, molto sparuta, nicchia di eccellenza, la loro ordinaria, molto ordinaria, attività istituzionale.
A voler fare un conteggio anche sommario e sicuramente per difetto, l’insieme di questi stand occupa circa un terzo degli spazi espositivi.
Ci si chiede: è una forma di sostegno finanziario indiretto ad una manifestazione che, nata con l’ambizione di riportare a Catania il meglio di analoghe manifestazioni nazionali, si è via via ripiegata su stessa, ridimensionandosi progressivamente nella qualità e nella quantità, finendo per dare un’immagine triste e irrimediabilmente periferica dell’economia isolana?
“All’Expobit sono attesi 30 mila visitatori” rullano i tamburi dei comunicati stampa. Ma se gli organizzatori, con un po’ più di onestà, sottraessero a questi numeri quelli degli alunni delle scuole siciliane, precettati e paganti, non sappiamo cosa resterebbe in realtà, a parte appunto il biglietto d’ingresso pagato, sia pure con un piccolo sconto.
Ma i ragazzi, dopo attese estenuanti davanti ad un botteghino per niente tecnologico, fatto un veloce giro fra gli stand, vanno via delusi: c’è ben poco che sia capace di catturare la loro curiosità e di destare il loro interesse, meglio andare a godersi l’ennesimo giorno di vacanza non programmata.
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