Riciclaggio di denaro sporco, business del cemento e del movimento terra, alleanza con le nuove classi dirigenti di imprenditori e amministratori pubblici: “nel carrello della spesa il nuovo volto di Cosa nostra“. E’ la lucida analisi che abbiamo trovato in Linus del gennaio 2010 (Il granaio d’Italia di Walter Molino)
“842 mila metri quadri: Terreno fertile che non s’annaffia, al posto degli alberi scaffali, luci al neon, registratori di casa e una valanga di calcestruzzo. E’ lo spazio che vorrebbero ocupare gli 81 centri commerciali per cui è stata presentata formale richiesta in Sicilia a partire dal 2000. Di questi 8 sono stati già realizzati o sono vicini all’inaugurazione. […] Un affare troppo ghiotto per non attirare l’attenzione della crminalità organizzata.
Un parco clienti gigantesco, miglaia di prodotti stoccati e venduti giornalmente, una velocità di circolazione del denaro quasi imposibile da tracciare. Montagne di soldi che puzzano di malaffare trasformati in pasta, pane e olio.
E prima ancora di riempire gli scaffali, i centri commerciali si devono costruire. Milioni di metri cubi di cemento, il business del movimento terra, appalti, mazzette e saldatura tra le cosche e le nuove classi dirigenti composte da amministratori, politici e colletti bianchi.
I boss pagano in contanti, riciclano e investono, accumulano scorte e offrono posti di lavoro, è la cifra del nuovo consenso sul territorio, senza più bisogno di mettere mano alla pistola.”
Lo dimostrano le inchieste delle procure antimafia. Il Sud, e dunque anche la Sicilia, è la Singapore del Mediterraneo – afferma Roberto Scarpinato – dove i centri per la grande distribuzione sono diventati lavatrici del denaro sporco dei mafiosi, frutto delle estorsioni e del traffico di droga.
Provvedimenti come il cosiddetto “scudo fiscale” arrivano a proposito. Il mafioso che deve pulire tre milioni di euro, cosa fa? – dice ancora Scarpinato – Si autodenuncia dicendo di averli detenuti all’estero e li spaccia per evasione fiscale. Li fa rientrare in Italia e cerca un imprenditore compiacente che li investa in un centro commerciale (e pensate che non lo trovi, soprattutto in tempo di crisi e con la stretta creditizia delle banche?) Non si possono neanche chiedere i libri contabili. Il reato è stato sanato.
Nel 2001 Giuseppe Grigoli chiese l’autorizzazione per il primo centro commerciale in Sicilia. Egli gestiva già il marchio Despar nelle province di Palermo, Trapani e Agrigento. Nel 2007 è stato arrestato con l’accusa di essere il braccio economico dell’ultimo boss mafioso ancora latitante, Matteo Messina Denaro. Al suo arresto ha contribuito il ritrovamento di una serie di “pizzini” nel covo di Provenzano.
Altri pizzini, del boss Salvatore Lo Piccolo, hanno permesso il sequestro di un grosso patrimonio a Paolo Sgroi, titolare della catena Sisa. In una conversazione intercettata, tre affiliati del clan Lo Piccolo discutono di quanto sia conveniente e privo di rischi l’investimento nella grande distribuzione, che permette anche di trovare un posto di lavoro ai “picciotti più meritevoli.
Nella parte orientale dell’isola c’è la storia di Sebastiano Scuto sospettato di riciclare i proventi delle attività illecite del clan Laudani. Le disavventure giudiziarie del “re dei supermercati” sono cominciate nel 1997, ma la sua attività nel campo della distribuzione risale al ’77, con l’apertura del primo Cash & Carry dell’Italia meridionale. Le sue attività continuano con la Despar e poi con la creazione di una nuova società, l’Aligrup. Il pg Gaetano Siscaro, che svolge il ruolo di accusa nel processo, ha contestato all’imprenditore l’accusa di aver finanziato Cosa Nostra in maniera continuativa “in cambio di una duratura protezione, riciclando in attività economica legale ingenti proventi delle attività illecite del clan Laudani e di altri clan alleati”. Capo d’accusa che si aggiunge a quelli di associazione mafiosa ed estorsione.
L’accusa è stata suffragata da dichiarazioni di diversi pentiti. L’ultimo di questi, però, Giuseppe Maria Di Giacomo ha, invece, scagionato Scuto, presentandolo come una vittima di estorsione.
La vicenda di Scuto è molto complessa. E’ stato già assolto dall’accusa di concussione per la realizzazione di un strada nel comune di San Giovanni La Punta ed è stato prosciolto dall’accusa di omicidio di Salvatore Aiello. Nuovi elementi, d’altra parte, si sono aggiunti sui suoi rapporti con i clan palermitani. Prima di Natale, il procuratore Siscaro, al termine di una lunga requisitoria, ha chiesto la sua condanna a 9 anni e sei mesi di reclusione per associazione mafiosa ed estorsione. Dopo l’arringa della Difesa, probabilemte a marzo dovrebbe arrivare la sentenza.
Della vicenda Scuto si è occupato soprattutto Marco Benanti che ne ha scritto su L’isola possibile, su Catania possibile e su Antimafia 2000, negli articoli qui linkati e in molti altri. Poco clamore sulla stampa ufficiale, salvo per le assoluzioni.
Giustamente la Confcommercio sottolinea il rischio che si stabilisca una facile equazione tra grande distribuzione e mafia, dimenticando l’esistenza di una economia sana. Ma l’Osservatorio Ambiente e Legalità di Legambiente, dopo aver analizzato le cifre dei beni sequestrati, conclude che nel 2009 gli affari dei mafiosi relativi ai centri commerciali hanno superato per entità quelli del traffico di droga e dell’edilizia.
Sulla diffusione dei centri commerciali nella nostra provincia, leggi su Argo Catania, il paradiso degli ipermercati
Ritengo che l’analisi contenuta nell’articolo sia davvero efficace per capire questo fenomeno, ormai sotto gli occhi di tutti. La cosa preoccupante è il silenzio dell’informazione e soprattutto la “benevolenza” della classe politica e dirigente siciliana. Sembra che l’unico sviluppo possibile debba passare da questi casermoni. Si potrebbe effettuare un ulteriore approfondimento sul tema che prenda in considerazione anche l’impatto sociale dei centri commerciali, di come questi centri influenzino le abitudini dei ragazzi e delle famiglie. E persino gite organizzate per anziani.