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Cari fratelli, buona sera.

Cari fratelli, buona sera.

Con questa semplice ed amichevole espressione di saluto Jorge Bergoglio la sera del 13 marzo di dodici anni fa entrava nelle case e nel cuore di tanti di noi. Quattro parole che assieme al nome che si era scelto hanno dato subito la cifra di quello che sarebbe stato il suo pontificato.

E subito, alla fine di quella breve allocuzione di saluto, ha aggiunto un altro tassello al suo programma di governo della Chiesa, la richiesta al popolo presente in piazza San Pietro di preghiere e benedizioni per il suo ministero, come nuovo vescovo di Roma, prima di essere lui a impartire la sua, di benedizione.

Per i credenti, questo sottolineare in prima battuta il suo essere innanzitutto vescovo di Roma, come fondamento del ministero petrino, poteva significare solo una cosa: la scelta di un approccio radicalmente pastorale, restaurando con autorevolezza l’indicazione di fondo che il Concilio Vaticano II aveva lasciato a tutta la Chiesa.

E, a completamento del quadro programmatico, esplicitato soprattutto dai gesti prima ancora che dalle parole, il suo primo pellegrinaggio a Lampedusa, la scelta cioè di dare voce a chi non ne ha, di mettersi decisamente dalla parte di tutti coloro che, con felice espressione, definirà come le vittime della ‘società dello scarto’ e di una economia che uccide.

Lungo tutto il suo pontificato, papa Francesco non farà altro che dare seguito coerente a questi primissimi segnali.

Come ha affermato il teologo e giornalista Antonio Spadaro, uno dei suoi più autorevoli interpreti, il suo non era tanto un progetto di riforma della Chiesa quanto quello di mettere Cristo e il suo Vangelo al centro della vita interna della Chiesa e del suo modo di farsi compagna di strada della vita di tutti gli uomini e tutte le donne, a partire appunto dagli ‘scartati’.

Due, dunque, le parole chiave che sintetizzano tutto il suo pontificato: l’annuncio del Vangelo della misericordia e il discernimento, come capacità di distinguere il bene dal male e di giudicare rettamente, immersi nella storia, per arrivare ad una scelta illuminata dalla intelligenza del Vangelo.

Questo non vuol dire aver messo da parte la necessità di riformare la chiesa, solo che, da buon gesuita consapevole della enorme complessità del compito, ha capito che si trattava di avviare processi di medio e lungo periodo, più che di imporre soluzioni ex cathedra, con il rischio solo di provocare fratture insanabili.

È questo il senso corretto con cui va intesa la parola ‘sinodalità’, intesa come corresponsabilità che deve essere esercitata da tutti i fedeli, parola che papa Francesco ha rilanciato, liberando dalle sabbie mobili clericali in cui era finita l’ambigua e inefficace istituzione del Sinodo dei vescovi.

E poi la sua capacità di parlare alla gente, a tutta la gente, dimostrando che la parola del Vangelo, prima ancora che essere ingessata nelle formule della dottrina, è parola viva, comprensibile a tutti perché in grado di venire incontro alle esigenze più profonde del cuore dell’uomo.

In questo senso anche le sue encicliche, fino ad ora quasi sempre scritte per gli addetti ai lavori e quindi subito passate nel dimenticatoio, resteranno nella coscienza di tutti e persisteranno nel tempo come testi con cui tutte le persone di cuore retto, credenti e non credenti, dovranno continuare a confrontarsi.

Un’ultima notazione ci sembra importante, sperando che resti imprescindibile per il suo successore, chiunque egli sarà: la disinvolta desacralizzazione della figura del papa, a partire dalla sua scelta di abitare a Santa Marta, di andare in giro con una semplice utilitaria, di abbracciare e farsi abbracciare fisicamente dalle persone che incontrava, il suo parlare terra terra, spesso rischiando qualche inevitabile sfasatura, cosa che certamente non diminuiva la sua autorevolezza ma lo rendeva anzi ancora più credibile.

Insomma, come è stato detto, papa Francesco è stato il papa che ha avuto il coraggio di chiudere le stanze del Vaticano e aprire la parrocchia del mondo.

Sulle sue encicliche, leggi su Argo “Fratelli tutti”, tra realismo e profezia

e Laudato si’, un’enciclica profondamente sovversiva

Leggi anche Papa Francesco, il dramma dell’Africa e il Tipitipitì della stampa italiana

Argo

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