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San Berillo, una via Crucis per il cambiamento

Un cammino vero, passo dopo passo, attraverso le stradine del vecchio San Berillo, il quartiere marchiato come il luogo in cui si vendono sesso e droga. Stradine oggi dissestate dall’improvvida scelta di destinare risorse preziose a quell’inutile rifacimento della pavimentazione che le sta rendendo da mesi impraticabili.

Un cammino dietro una Croce che è quella del Cristo che va verso la morte, ma è anche quella di ogni uomo che vive il dolore, soffre l’esclusione, sperimenta le cadute, desidera un abbraccio che dia senso alla propria fatica. Ogni uomo, che sia credente o non lo sia, o con qualunque nome chiami il suo dio.

Non è un caso che la via Crucis che attraversa San Berillo, voluta, nel lontano 1980, da Pippo Gliozzo e Carmelo Politi, allora parroci del Crocifisso della Buona Morte, non sia un rito che si svolge all’interno di un edificio di culto. Essendo un percorso che si snoda attraverso le strade in cui ogni giorno camminano uomini e donne segnati dalla fatica del vivere, dalla povertà, dall’emarginazione, è quasi inevitabile che si arricchisca ogni anno di gesti di apertura e di inclusione.

A partire dall’ormai tradizionale liberazione degli uccellini selvatici che tutt’ora segna l’inizio della processione, fino allo spazio dato quest’anno alla Comunità Dialogo, che raccoglie religioni diverse, anche non monoteiste.

In mezzo, via via nel tempo, sempre più sincere e intense, le testimonianze delle prostitute e dei/delle trans, le voci delle vittime di violenza domestica, i racconti di chi si prende cura degli altri, la gratitudine dei più fragili per quanto ricevuto. Testimonianze asciutte o commoventi, in dialetto o con citazioni letterarie, perché molto vario è il mondo di chi partecipa e si lascia coinvolgere, varia la parte di mondo da cui proviene e il posto che occupa nel quartiere e nella città, come volontario, lavoratore, migrante, senza dimora.

Il cuore della Via Crucis sono soprattutto le persone del quartiere e della parrocchia, anche quelle che non parlano ma offrono il loro aiuto nelle cose più semplici, fosse solo reggere al menestrello i fogli dei canti. Ma sono ormai tanti coloro che partecipano a nome di altre realtà cittadine comunque impegnate a fianco degli ultimi.

Il vescovo Renna è ormai una presenza costante, è stato lui a suggerire l’inserimento di una stazione Zero, da lui stesso, quest’anno, commentata: consapevole di andare incontro alla morte, Gesù spezza il pane nel cenacolo, gettando così un seme di vita e di amore, un messaggio di mitezza e di perdono che sarà “più forte di ogni violenza, di ogni accomodamento e di ogni furbizia.”

Anche Kheit Abdelhafid, imam della Moschea della Misericordia partecipa da alcuni anni alla Via Crucis e quest’anno ha commentato proprio la morte di Gesù in croce. Ha lasciato a don Gliozzo la lettura del drammatico passo del vangelo di Matteo, e non si è limitato a ricordare che, nel Corano, Gesù, “segno della potenza divina”, viene elevato a Sè da Allah.

Si è soffermato soprattutto sul momento della morte, quel momento cruciale e inevitabile di passaggio che “occupa un posto centrale nella spiritualità islamica”, che riserva al corpo del defunto un rito “semplice ma profondamente sprituale” che egli guida da più di trent’anni.

Ecco, davanti al mistero della morte e della vita, al desiderio di eternità che abita nel cuore di ogni essere umano, le differenze tra le religioni si sfumano. E, quando il “Coordinamento R.i.D. Religioni in dialogo” commenta la stazione di ‘Cristo posto nel sepolcro’, scopriamo che la figura di Gesù è riconosciuta nella Fede Bahá’í, ed è presente con vari nomi nei testi sacri “dell’antica conoscenza vedica dell’India”. Scopriamo che quel sepolcro che avrebbe dovuto cancellare per sempre una voce scomoda che turbava il potere politico e religioso diventa – non solo per i cristiani – il luogo da cui si effonde la luce, si manifesta il “trionfo dell’Infinito sui limiti del mondo”.

E’ stato un gesto coraggioso quello degli organizzatori della Via Crucis di quest’anno. La scelta di coinvolgere, dopo la chiesa ortodossa, l’Islam, i non credenti, anche le altre fedi religiose apre ulteriormente gli orizzonti in un mondo sempre più chiuso a difesa di quelli che vengono chiamati valori e sono in realtà interessi di privilegiati.

Abbiamo ancora tanta strada da fare per superare le distanze e scoprire le voci di tutti coloro che cercano l’armonia e la pace, tra gli uomini e con il creato. Con questa Via Crucis è stato buttato un seme, che va coltivato con pazienza e con speranza.

E questo è l’Anno Santo della Speranza, come ha ricordato il parroco Piero Belluso, un’occasione privilegiata per riscoprire il vero volto di Dio, Padre amoroso che va incontro al figlio prodigo per abbracciarlo, senza aspettare che chieda perdono.

Argo

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