E, mentre Renato Schifani, a proposito dei due inceneritori inseriti nel Piano Rifiuti della Regione Siciliana, continua a parlare di “decisione storica” e di “svolta strategica che guarda al futuro”, sulla sua decisione piovono ricorsi.
Lui non se ne dà per inteso, assicura che i nuovi impianti sono assolutamente innocui per la salute dei cittadini e ha già sottoscritto una convenzione con Invitalia per predisporre la gara e tutti i passaggi successivi fino alla costruzione e gestione dell’opera.
Il meccanismo dei ricorsi, tuttavia, è già avviato e vedremo a cosa porterà.
Il primo ricorso, contro il Piano Regionale dei Rifiuti varato il 21 novembre 2024, è stato presentato poco più di un mese fa, il 3 marzo 2025, da Rifiuti Zero Sicilia presso il Tar del Lazio. L’associazione parla di “un piano scellerato che prevede tra l’altro la costruzione di due inceneritori in Sicilia, costruito in totale spregio delle alternative sostenibili e delle normative europee”.
Nel ricorso si denunciano gravi violazioni procedurali e una pianificazione che ignora le alternative già documentate nel dossier di osservazioni inviato alla Regione.
“La costruzione degli inceneritori rappresenta un danno irreversibile per l’ecosistema siciliano, aumentando le emissioni climalteranti e il rischio sanitario per le comunità locali. Inoltre, il piano si basa su previsioni errate della produzione dei rifiuti, ignorando le potenzialità del recupero di materia e gli scenari alternativi come quelli rappresentati dalle “fabbriche dei materiali” e dalle filiere del riuso”.
Non solo, quindi, si continua a privilegiare, definendola innovativa, una tecnologia inquinante e costosa che – a livello europeo – ormai viene universalmente abbandonata. Non solo vengono spesi 800 milioni di euro per impianti che, nel 2030, saranno già fuori legge rispetto agli obiettivi Ue di riduzione delle emissioni climalteranti. La costruzione degli inceneritori rappresenta un attacco frontale alla transizione ecologica.
Le previsioni sulla produzione dei rifiuti non tengono conto degli obiettivi di riduzione previsti dalle normative europee e non viene proposto miglioramento della raccolta differenziata nelle città di Palermo e Catania, che restano tra le peggiori d’Italia.
Il rischio è, quindi, che i rifiuti vengano destinati esclusivamente agli inceneritori, innescando un circolo vizioso di dipendenza e necessità di smaltimento che ostacola lo sviluppo di pratiche virtuose ed economicamente più sostenibili.
Su questi temi Rifiuti Zero Sicilia – con il supporto di Zero Waste Italy e il coinvolgimento di altre trenta associazioni – porta avanti, dall’ottobre dello scorso anno, la campagna ‘Futuro in cenere’ di cui Argo ha raccontato il lancio.
L’associazione denuncia anche la mancanza di dibattito pubblico che ha caratterizzato l’iter di approvazione del Piano, anche all’interno delle due città in cui si realizzeranno gli inceneritori. E dichiara di voler impedire che venga alimentato ancora il pericoloso accentramento di potere, di risorse economiche e tecnologia nelle mani di pochi, favorendo gli interessi economici di questi ultimi a scapito della salute delle comunità locali.
Appena qualche giorno fa, martedì 15 aprile 2025, Legambiente Sicilia, WWF Sicilia (Nord Occidentale e Nord Orientale), Zero Waste Sicilia, Federconsumatori Sicilia, appartenenti alla Rete Sicilia Pulita, hanno presentato un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica.
Anche in questo caso un ricorso contro tutto il Piano dei Rifiuti, che non si incrocerà con il precedente ma va, tuttavia, nella medesima direzione.
Di questo Piano, adottato nel novembre 2024 da Renato Schifani, in qualità di Commissario Straordinario, le associazioni contestano sia i contenuti sia le modalità di adozione.
E chiedono l’annullamento/disapplicazione di una ordinanza che considerano illegittima essendo la redazione del Piano dei Rifiuti “una fattispecie ordinaria” in cui il Commissario ha utilizzato il potere derogatorio a lui attribuito, “privando la Regione Siciliana della sua funzione legislativa e dei poteri garantiti dalle disposizioni costituzionali, violando la rappresentanza democratica”.
C’è quindi, in questo ricorso, una pregiudiziale di costituzionalità (violazione dell’art. 117 della Costituzione e dell’art. 14 dello Statuto della Regione siciliana, e della attribuzioni garantite alla Regione) tanto che viene chiesta la “remissione degli atti” alla Corte Costituzionale.
Gli argomenti sono molto tecnici ma la sostanza è che il Commissario Straordinario, sostituendosi alla Regione Siciliana, ha – di fatto – invaso una competenza non sua, entrando anche in un conflitto di interessi con se stesso.
Non solo ha richiesto poteri speciali per poi utilizzare gli stessi uomini e le stesse strutture che avrebbe potuto utilizzare nell’esercizio delle funzioni di Presidente Regionale. Egli, in quanto Commissario, con il potere – quindi – di derogare alla legge, entra di fatto in conflitto con se stesso quale Presidente della Regione, colui che è tenuto a tutelare le funzioni attribuite – costituzionalmente – alla Regione stessa e all’Assemblea.
Un conflitto che mette in discussione la nomina dello stesso Schifani a Commissario.
Sulla legittimità di questa nomina, le associazioni avevano già presentato un ricorso (che trovate a questo link), evidenziando come fosse stato conferito un incarico di durata pluriennale e con margini discrezionali molto ampi senza che ci fossero le condizioni emergenziali necessarie (leggi Un commissario per aggirare le regole). Non c’era infatti quella “condizione anomala, grave, temporanea e determinata”, che richiede l’assunzione di rimedi immediati e può giustificare il ricorso a misure straordinarie e la deroga alle leggi ordinarie.
Anche nel ricorso appena depositato, di cui oggi ci occupiamo, viene evidenziato che l’aggiornamento o la redazione del Piano Regionale dei Rifiuti è una fattispecie ordinaria, che rientra nelle competenze regionali, e su cui il potere derogatorio del Commissario non può operare a meno che non si verifichi una situazione emergenziale.
Il Piano deve, quindi, conformarsi alle disposizioni legislative regionali, nazionali ed europee. E deve obbligatoriamente avere il parere positivo della Commissione Ambiente dell’Assemblea Regionale Siciliana (ARS), un parere che non è stato espresso, con una conseguente violazione del procedimento amministrativo che è – per i ricorrenti – motivo di nullità del Piano stesso.
La Commissione legislativa dell’ARS, invece di esprimere un parere, ha adottato una risoluzione (n. 9/IV del 9 ott 2024) di tipo politico e programmatico che nulla a che vedere con la valutazione tecnica e giuridica necessaria per la validità dell’atto.
Non è un fatto secondario, anche perché la presenza della Commissione nel processo decisionale garantisce il controllo democratico e istituzionale sulle scelte strategiche in materia di gestione dei rifiuti.
Nel ricorso viene poi segnalata la violazione delle Direttive dell’Unione Europea sulla economia circolare che stabiliscono un quadro giuridico perché il trattamento dei rifiuti avvenga in modo da proteggere l’ambiente e la salute umana. Interessante che, nella gerarchia dei rifiuti che viene individuata, il recupero energetico venga relegato al penultimo posto, dopo il riciclaggio, assimilando l’incenerimento al tombamento in discarica.
Non è quindi vero quanto asserito nel Piano là dove si dichiara il “raggiungimento di tutti gli obiettivi di riciclaggio e recupero previsti dalle norme”.
Vengono, inoltre, smontate le conclusioni del Piano sulle quantità di materiali recuperati e su quelli mandati in smaltimento, dimostrando che i calcoli posti a fondamento del Piano sono errati e che – nonostante i tentativi di far apparire soddisfatte le percentuali richieste dalla normativa europea – si rimanga al di sotto dei valori prefissati (55% 2025, 60% al 2030, 65% al 2035).
L’analisi del Piano è impietosa, emergono ovunque confusione e contraddizioni. E si individuano materie che esulano dalla gestione dei rifiuti urbani e quindi anche dai limiti del mandato del Commissario. Come accade con i fanghi di depurazione, che vengono considerati rifiuti urbani, mentre non lo sono, e mandati ad incenerimento sebbene le disposizioni comunitarie li considerino utili per l’agricoltura.
C’è poi la confusione tra la finalità di smaltimento per incenerimento con recupero di energia e quella di produzione di energia, una questione che si è posta anche per il termovalorizzatore di Acerra e su cui si è espresso il Consiglio di Stato
Lo smaltimento rientra, infatti, nella competenza della Regione mentre la produzione di energia (coincenerimento) rientra nell’ambito del sistema di libera concorrenza e richiederebbe una programmazione della politica industriale.
Insomma carenza di analisi e superficialità riscontrate in un Piano che comunque non rispetta i “vincoli inderogabili derivanti dall’appartenenza all’Unione europea”, a partire dall’ obiettivo vincolante di conferire in discarica al massimo il 10% del totale dei rifiuti urbani, entro il 2035.
Altro capitolo è quello della illegittima individuazione della localizzazione degli impianti di incenerimento presso le città di Palermo e Catania, senza nessuna indicazione di possibili alternative, elemento fondamentale di queste procedure.
Nessun ragionamento sulle condizioni di questi due centri urbani che presentano situazioni già allarmanti per la presenza di livelli di inquinamento tali da aver determinato una condanna da parte della Corte di Giustizia Europea.
Ecco perché viene stigmatizza la grave irresponsabilità e la mancata competenza in materia di tutela della salute pubblica, presenti in queste scelte.
A confermare che non esiste l’impatto ambientale zero dei nuovi impianti, arrivano i risultati delle nuove ricerche condotte dalla ToxicoWatch Foundation negli ambienti che circondano gli inceneritori di rifiuti in Spagna, Francia e Paesi Bassi (Zubieta, Parigi, Harlingen).
Studi che rivelano livelli diffusi di contaminazione nel suolo, nell’acqua, nella vegetazione e persino nel cibo, ad esempio nelle uova di fattoria.
I livelli di diossina hanno superato i limiti Ue in tutti e tre i siti; in particolare a Zubieta un campione di uova da cortile ha mostrato i più alti livelli di diossina trovati negli ultimi 13 anni, mentre ad Harlingen sono state registrate concentrazioni di PFAS nell’acqua che vanno oltre la soglia per ben 138 volte.
Quanto ai metalli pesanti tra cui piombo, mercurio e arsenico, sono stati rilevati anche in aree vicine a case, parchi e scuole. Tutto questo si aggiunge all’esposizione agli agenti inquinanti degli ambienti urbani, che colpiscono in particolare le popolazioni vulnerabili come i bambini.
Ecco perché Zero Waste Europe chiede alle istituzioni Ue e ai governi nazionali di agire con urgenza, prevedendo l’introduzione di un monitoraggio obbligatorio e in tempo reale delle emissioni. E un biomonitoraggio regolare anche nelle aree che circondano gli inceneritori.
Trovate qui la traduzione italiana dei risultati della ricerca e i link agli studi originali in lingua inglese.
Leggi anche Rifiuti, un commissario per aggirare le regole e anche Inceneritori, non mandiamo in cenere il nostro futuro
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Purtroppo molti pensano che con la costruzione degli inceneritori la spazzatura scomparirà dalle strade. Bisognerebbe spiegare che così non sarà.
Come abbiamo già scritto, l’incenerimento non è la soluzione semplice e magica del problema dei rifiuti. L’immondizia andrà comunque raccolta e trasportata, e questo dipende dal sistema di raccolta e dalla sua organizzazione. Leggi https://www.argocatania.it/2024/10/19/inceneritori-non-mandiamo-in-cenere-il-nostro-futuro/