Sulla contrastata Ordinanza che ha istituito, temporaneamente, a Catania, alcune zone rosse, ospitiamo oggi un intervento del costituzionalista Ettore Palazzolo.
Dal 1 febbraio, fino al 30 aprile, a Catania, in base ad una recentissima Ordinanza prefettizia, sono attive sei zone (rosse), in particolare, attorno alle più importanti piazze del centro storico della città, da piazza Duomo, alla villa Bellini, passando per piazza Università e piazza Stesicoro, a quella del teatro Massimo Bellini, comprensive delle zone e arterie circostanti; e inoltre la stazione centrale e piazza Giovanni XXIII.
Queste aree sarebbero, a detta dell’Ordinanza, «caratterizzate da una maggiore esposizione a rischi per la sicurezza» e per questa ragione vengono poste delle restrizioni/divieti allo «stazionamento» per alcune categorie di persone.
Le suddette aree urbane vengono individuate sulla base dei seguenti criteri: la vocazione turistica; l’esistenza di infrastrutture ferroviarie e di trasporto urbano ed extraurbano; la destinazione ad aree di sosta/parcheggio; la presenza d inumerosi locali di somministrazione di alimenti e bevande ove si snoda la cd. Movida. Esse, secondo un assunto non dimostrato e probabilmente erroneo, sarebbero pure caratterizzate, dal dato statistico relativo alla commissione di reati predatori (furti con scippo, rapine) e di particolare allarme sociale (aggressioni, risse, violenze sessuali, danneggiamenti) verificatisi nel periodo corrispondente dei due anni precedenti.
I soggetti cui è rivolto il divieto (di «stazionamento») nelle zone specificate, sono coloro che risultino già «destinatari di segnalazioni all’Autorità giudiziaria» (anche sulla base di semplice denunzia) per reati» in materia di stupefacenti (spaccio ecc.); (percosse), 582 c.p. (lesione personale), 588 c.p. (rissa), 590 c.p. (lesioni personali colpose), 624 bis c.p. (furto con strappo), 628 c.p. (rapina), 635 c.p. (danneggiamento/vandalizzazione). In altri termini, quell’insieme di piccoli reati che, nel linguaggio comune, viene chiamato microcriminalità, considerati di forte allarme sociale, perché potenzialmente colpirebbero, in modalità pressocché indiscriminata, tutti i soggetti sociali, in particolare i più deboli.
Nel caso i soggetti indicati assumano atteggiamenti aggressivi, minacciosi o insistentemente molesti, determinando un pericolo concreto per la sicurezza pubblica, tale da ostacolare la libera e piena fruibilità di quelle aree – da notare la estrema genericità e volatilità di tali espressioni, che ha come risvolto una grande discrezionalità per le forze di Polizia… – viene ordinatol’allontanamento dei trasgressori dalle aree indicate, avvertendo che le eventuali violazioni dell’ordinanza saranno valutate anche sotto il profilo della configurazione di illeciti di natura penale (art. 17 del testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza di cui al R.D. n. 773/1931.
L’ordinanza prefettizia sulle «zone rosse» a Catania, non è altro che l’applicazione della direttiva Piantedosi del 17/12/2024 rivolta ai Prefetti, perché nel periodo natalizio ovvero in altre circostanze e festività, stabilisca delle zone nelle quali per alcune categorie di soggetti, ritenuti pericolosi, sia preclusa la circolazione, o meglio lo «stazionamento».
Il ricorso alle cosiddette «zone rosse», secondo il Viminale, rientrerebbe nella più ampia strategia volta a garantire la tutela della sicurezza urbana e la piena fruibilità degli spazi pubblici da parte dei cittadini, costituita da misure particolarmente utili in contesti caratterizzati da fenomeni di criminalità diffusa e situazioni di degrado, come le stazioni ferroviarie (o di metropolitana) e le aree limitrofe, oltre che le «piazze dello spaccio».
Le ordinanze di necessità e urgenza adottate dal prefetto per la tutela dell’ordine pubblico, sono previste dall’art. 2 del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, che ha modificato il RD n. 773 del 1931.
Rientrano fra i provvedimenti amministrativi volti a fronteggiare in modo tempestivo, al di fuori delle normali procedure, situazioni di emergenza di vario genere che coinvolgono la collettività. In presenza di determinati presupposti, è la legge stessa che autorizza l’autorità amministrativa a provvedere, anche in deroga (quando occorra) alle normative vigenti, per determinate finalità connesse alla natura dell’emergenza.
Viene lasciata spesso un’elevata discrezionalità all’autorità amministrativa nella determinazione dei contenuti dei relativi provvedimenti, oltre che relativamente alle modalità del potere di ordinanza. Ciò si giustifica sino a quando perdura il fatto emergenziale: una volta ristabilita la normalità, l’amministrazione deve tornare a servirsi dei tipici atti amministrativi.
Sulle ordinanze prefettizie si è pronunciata la Corte costituzionale, affermando il loro «carattere di atti amministrativi» e «strettamente limitati nel tempo» e «vincolati ai principi dell’ordinamento giuridico». Tali provvedimenti non possono porsi «in contrasto con quei precetti della Costituzione che, rappresentando gli elementi cardinali dell’ordinamento, non consentono alcuna possibilità di deroga nemmeno ad opera della legge ordinaria».
Ciò che colpisce dalla lettura della Direttiva Piantedosi, fatta propria dall’ Ordinanza catanese è la estensione fino all’estremo del concetto di sicurezza pubblica.
Se infatti la lotta alla microcriminalità deve essere perseguita in nome di una Sicurezza pubblica che va tutelata anche mediante misure preventive, quali quelle previste dalla Direttiva Piantedosi, altra cosa è il degrado urbano, anch’esso da superare puntando al recupero di un livello di «decoro» dignitoso, per una piena vivibilità di strade, piazze, quartieri. Si tratta infatti di questioni ben diverse…
La direttiva del Ministro Piantedosi mette assieme fenomeni di microcriminalità (spaccio, furto con scippo, lesioni mediante accoltellamento, ecc.) contro i quali appare, nel complesso, legittimo intervenire ed episodi di «degrado urbano» in cui sono presenti comportamenti spesso illeciti, da sanzionare, eventualmente, in via amministrativa (l’attività di posteggiatore abusivo, il commercio ambulante abusivo, il dormire sui marciapiedi, da parte di clochards o senzatetto – in quest’ultimo caso l’intervento punitivo del Comune dovrebbe essere subordinato al reperimento di un tetto e possibilmente di un letto, da assicurare loro – oppure l’esercizio della prostituzione di strada), senza però, come avviene nel caso di comportamenti rientranti nella microcriminalità, che il disattendere l’ordine si trasformi automaticamente in ipotesi di reato.
Le misure di prevenzione, quali quelle cui fa riferimento la Direttiva del Ministro, vanno quindi emanate con grande attenzione (con il bisturi), distinguendo con precisione le diverse ipotesi, in particolare fra chi ha commesso reati e chi va considerato responsabile, al più, di una contravvenzione amministrativa.
Le prime, presupponendo un’ipotesi di reato sono misure in qualche modo legate al diritto penale, le altre sono questioni rientranti nella competenza di un amministratore locale (il Sindaco anche attraverso la Polizia municipale). Nella Direttiva del Ministro e nell’Ordinanza del Prefetto di Catania si confonde, volutamente, illegalità penale e quindi microcriminalità, da illiceità amministrativa; e ciò nonostante sia intervenuta da tempo la c.d. depenalizzazione di una serie di condotte, in precedenza previste dal codice penale e quindi rientranti fra i reati ed ora fra gli illeciti amministrativi.
Si vuole forse tornare ad un regime di criminalizzazione di alcuni comportamenti illeciti, non particolarmente gravi, unificando tutto sotto il profilo della sicurezza pubblica, per sottoporli quindi alla giustizia penale. Oltretutto come se quest’ultima non fosse già alquanto intasata di suo…
Ciò che preoccupa poi è la discrezionalità delle misure, visto che l’insieme di soggetti considerati pericolosi per il decoro e l’ordine pubblico è ampio e variegato. Si individuano alcune persone «che hanno precedenti» (il che peraltro non significa condanne: basta una semplice denunzia o segnalazione) per stupefacenti, aggressioni, furti, rapine e detenzione abusiva di armi, tra le altre cose.
Ma il sospetto del Viminale, ripreso pedissequamente nell’Ordinanza prefettizia di Catania, riguarda anche persone che genericamente «assumono atteggiamenti aggressivi, minacciosi o molesti». «La misura del divieto di accesso dovrà essere disposta ogni qual volta il comportamento del soggetto risulti concretamente indicativo del pericolo che la sua presenza può ingenerare per i fruitori della struttura», affermazioni che possono voler dire tutto e non dire niente, come prescrive, con linguaggio da questurino il Ministro Piantedosi.
Tale direttiva – e le Ordinanze prefettizie applicative – appaiono espressione di un indirizzo fortemente repressivo che si è concretizzato, a partire da cd. Daspo urbani (artt. 9 e 10 del d.l. n. 14/2017), in una serie di Decreti-legge in materia, a cominciare da quello sul divieto di rave, passando per Caivano, fino al parossismo del Ddl sicurezza attualmente in discussione al Senato.
Si tratta di misure di prevenzione spesso in conflitto con l’art. 16 Cost. il quale prevede che si possa liberamente soggiornare e circolare in qualsiasi parte del territorio nazionale.
Le uniche deroghe costituzionalmente ammissibili devono essere disposte per legge, in via generale, escludendo discriminazioni nei riguardi di singoli e categorie (anche ai sensi dell’art. 3 Cost.) e unicamente per motivi di sanità o di sicurezza, mentre nessuna restrizione può essere ammessa per motivi politici.
Nel concetto di sicurezza vi rientra certamente la possibilità che vengano commessi reati (vedi anche i DASPO relativamente ad eventi sportivi). Non vi rientra certamente né il parcheggio abusivo, né il commercio ambulante abusivo, la cui sanzionabilità appartiene invece all’autonoma competenza delle Amministrazioni comunali cui spetta emettere i provvedimenti ritenuti opportuni, ovviamente con gli stessi limiti, delle leggi e della Costituzione, che incontra l’Amministrazione centrale dello Stato. C’è infatti il rischio che, con questi provvedimenti, l’Amministrazione centrale dello Stato attraverso i Prefetti (a proposito, la Lega non era per l’abolizione dei Prefetti?), invada l’autonomia amministrativa dei Comuni, commissariando, di fatto, i Sindaci, quantomeno relativamente ad alcune funzioni.
Con questo non si vuole certo sostenere che le misure prese dalle Amministrazioni locali siano di per sé più rispettose dei diritti individuali, in particolare, quello di circolare liberamente. Anche i Comuni, se non nella logica della Sicurezza pubblica, possono commettere nefandezze contro i diritti in nome del Decoro…
E’ vero, c’è stata una colpevole sottovalutazione, da parte della sinistra, del diritto alla sicurezza, con particolare riguardo alla microcriminalità. Obiettando spesso la necessità di risposte più complessive al problema posto dalla microcriminalità, particolarmente minorile: lavoro, scuola e lotta alla dispersione scolastica, risanamento di interi quartieri, illuminazione di strade e piazze, ecc.
E tuttavia la microcriminalità è un problema maggiormente avvertito dai cittadini, perché colpisce i ceti sociali più svantaggiati: la vecchietta che viene scippata della sua misera pensione, ovvero la situazione di certe piazze di quartieri periferici e popolari nelle quali è l’impossibile passeggiare dopo una certa ora…
Ma anche per quanto concerne il Decoro e c’è un’accresciuta sensibilità in materia. Bisogna dare una risposta ai cittadini, senza però valicare la linea dei diritti fondamentali. E soprattutto senza creare discriminazioni fra Centro storico – da proteggere come il salotto» della città, abitata da «gente perbene», ma anche vetrina per turisti, e quartieri di periferia, in cui lasciare totalmente libera di trafficare quella che viene spesso considerata la feccia della società.
Come si vede, risulta alquanto difficile, per un’amministrazione locale, agire per realizzare un Decoro dignitoso che non discrimini cittadini (o immigrati) o quartieri della città, e tuttavia occorre impegnarsi, anche e soprattutto nel confronto con i cittadini, che sono i diretti interessati.
Sull’Ordinanza del Prefetto di Catania è illuminante quanto ha scritto Federica Borlizzi, avvocata e dottoranda in Sociologia del diritto, in un intervento su MeridioNews. Ad esempio quando osserva che il “catalogo dei soggetti ontologicamente pericolosi” che saranno oggetto di divieti di accesso e ordini di allontanamento comprende donne dedite alla prostituzione che non hanno posto in essere alcun comportamento offensivo e che, invece, vengono spinte “in una spirale di criminalizzazione, acuendo ancor di più le situazioni di marginalità”. O come quando si associa la presenza di “numerosi esercizi commerciali gestiti da cittadini stranieri, soprattutto gambiani e senegalesi” al fatto che si registrino delle risse nelle zone limitrofe, avanzando ipotesi indimostrate, impregnate di xenofobia e razzismo.
Importante anche la presa di posizione del SUNIA (Sindacato nazionale inquilini) che ritiene le misure contenute nell’Ordinanza del Prefetto di Catania inapplicabili e incostituzionali.