“Vi sono lunghe liste d’attesa per esami che, se tempestivi, possono salvare la vita. Numerose persone rinunciano alle cure e alle medicine perché prive dei mezzi necessari”, così il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
Una riflessione obiettiva e assolutamente condivisibile, rilanciata dalla fondazione GIMBE (impegnata per promuovere un servizio sanitario pubblico, equo e universalistico) che ha denunciato i ritardi nell’adozione dei decreti attuativi previsti dal decreto (73/2024) sulle liste d’attesa, convertito dalla L. 107/2024.
Si tratta di sei decreti attuativi (un numero eccessivo rispetto al carattere di urgenza del DL) dei quali, al 29 gennaio 2025, ne è stato approvato solo uno, mentre tre sono già scaduti e per due non è stata definita alcuna scadenza.
“Le interminabili liste d’attesa – secondo Nino Cartabellotta (Presidente della fondazione) – sono il sintomo di un indebolimento tecnologico, organizzativo e soprattutto professionale del SSN. Affrontare questa criticità richiede consistenti investimenti sul personale sanitario e coraggiose riforme organizzative. Concentrarsi unicamente sul ‘sintomo’ (i lunghi tempi di attesa), è un approccio semplicistico”.
Il governo Meloni, colto con le mani nel sacco (ha sempre affermato che ridurre le liste di attesa è una priorità), attraverso il senatore di Fratelli d’Italia Franco Zaffini, presidente della Commissione Sanità e Lavoro di Palazzo Madama, ha denunciato le ‘bugie’ di Gimbe. Peccato che il suddetto senatore da un lato ha contestato i dati della Fondazione, ma, dall’altro, ha ammesso che sino ad oggi è stato approvato un solo decreto attuativo, e, quindi, [NdR] la legge 107/2024 non è andata avanti.
Di più, secondo Gimbe, siamo di fronte a “Una crisi senza precedenti […] l’offerta dei servizi sanitari ospedalieri e territoriali sarà sempre più inadeguata rispetto ai bisogni delle persone, rendendo impossibile garantire il diritto alla tutela della salute”.
E la spiegazione piuttosto semplice: la quota del PIL nazionale destinata alla sanità è continuata a diminuire nel corso degli anni. Considerando l’incidenza sul PIL, la spesa sanitaria pubblica italiana è stata nel 2022 inferiore di ben 4,1 punti percentuali rispetto a quella tedesca (10,9%), di 3,5 punti rispetto a quella francese (10,3%), di 2,5 punti rispetto al Regno Unito (9,3%), e inferiore di mezzo punto anche rispetto a quella spagnola (7,3%), come certificato da OCSE, Ragioneria Generale dello Stato e Corte dei Conti.
Anche nel 2023 l’Italia per spesa sanitaria pubblica pro-capite si colloca solo al 16° posto tra i 27 Paesi europei dell’area OCSE e in ultima posizione tra quelli del G7. La spesa sanitaria pubblica si attesta al 6,2% del PIL, percentuale inferiore sia rispetto alla media OCSE del 6,9%, sia rispetto alla media europea del 6,8%.
Coerentemente con questo quadro, l’Italia spende percentualmente molto meno che in passato per i professionisti della sanità. Negli ultimi 11 anni, sostiene Nino Cartabellotta, il personale dipendente ha perso 28,1 miliardi, di cui 15,5 miliardi solo tra il 2020 e il 2023. Inoltre, la spesa pro-capite per il personale dipendente nel 2023 (quasi settecentomila unità) è stata di 672 euro, con differenze significative: dai 1.405 euro nella Provincia autonoma di Bolzano a 559 in Campania.
Queste politiche hanno determinato una carenza nel personale sanitario e, quindi, hanno determinato il fenomeno dei cosiddetti “medici a gettone”, o “medici a chiamata”. Si tratta di professionisti, generalmente iscritti a cooperative, richiesti per svolgere un turno di lavoro, in caso di assenze improvvise o mancanza di personale. Lavorano accanto al personale dipendente dal servizio sanitario nazionale, ma con compensi decisamente più elevati. Infatti, un medico ospedaliero percepisce uno stipendio netto mensile compreso tra 1.900 euro e 2.900 euro, mentre un “medico a gettone” per 12 ore continuative di lavoro (per esempio, dalle 8,00 alle 20,00) può guadagnare sino a mille euro lordi.
Le carenze riguardano i medici di famiglia – ma anche medicina d’emergenza-urgenza, medicina nucleare, medicina e cure palliative, patologia clinica e biochimica clinica, microbiologia, e radioterapia. Anche fra gli infermieri le cose non vanno meglio. In Italia sono 6,5 per ogni mille abitanti, la media OCSE è di 9,5.
Secondo Cartabellotta: “I tagli al Ssn e il sotto-finanziamento cronico hanno determinato una forte contrazione degli investimenti per il personale sanitario, attraverso misure come il blocco delle assunzioni, i mancati rinnovi contrattuali […] Inoltre, l’aumento dei casi di violenza fisica e verbale ai danni del personale sanitario, ha ulteriormente compromesso la sicurezza e le condizioni di lavoro. Il peso della burocrazia e la scarsa digitalizzazione, infine, complicano il lavoro quotidiano, alimentando inefficienze e frustrazione […] Liste di attesa interminabili, pronto soccorso affollati, impossibilità di trovare un medico di famiglia hanno un comune denominatore: la carenza di professionisti sanitari, la loro disaffezione e il progressivo abbandono del Ssn”.
Concludendo, siamo di fronte a una crisi, quella del servizio sanitario nazionale, che prosegue e diventa sempre più significativa, nonostante secondo la nostra Costituzione: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”.
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