Nato a gennaio (1988), rapito a gennaio (2016). Stiamo parlando di Giulio Regeni, il giovane ricercatore italiano dell’università di Cambridge, il cui corpo senza vita, che presentava evidenti e diffusi segni di tortura, venne ritrovato a Il Cairo (Egitto).
Così la madre, di fronte al cadavere del figlio: “Su quel viso ho visto tutto il male del mondo e mi sono chiesta perché tutto il male del mondo si è riversato sui lui. All’obitorio, l’unica cosa che ho ritrovato di quel suo viso felice è il naso. L’ho riconosciuto soltanto dalla punta del naso”.
Inizialmente le autorità egiziane parlarono di incidente stradale, successivamente vennero indicati “motivi personali”. In effetti, non solo le autorità non collaborarono con gli investigatori italiani giunti sul posto, ma operarono attivamente per depistare le indagini, cancellando le riprese video della zona dove avvenne il sequestro e i tabulati telefonici.
4 uomini uccisi dalla polizia egiziana durante un conflitto a fuoco vennero indicati come gli assassini di Giulio, tranne scoprire in seguito che il capo di questa banda nei giorni del sequestro si trovava in una località distante 100 chilometri dalla capitale egiziana.
Nel 2021 la Procura della Repubblica di Roma ha rinviato a giudizio quattro ufficiali del servizio segreto egiziano (National Security Agency).
Sempre nel 2021 (dicembre) – scrive Internazionale – “una commissione parlamentare d’inchiesta sulla morte di Giulio Regeni ha appurato, dopo due anni di indagini, la responsabilità dei servizi di sicurezza egiziani: La responsabilità del rapimento, degli atti di tortura e dell’omicidio di Giulio Regeni ricade direttamente sull’apparato di sicurezza della Repubblica araba d’Egitto e in particolare su alcuni membri dell’Agenzia per la sicurezza nazionale”.
Inutile dire che la magistratura egiziana ha negato qualsiasi collaborazione, rifiutando persino di condividere con i magistrati italiani, nonostante le specifiche richieste, gli indirizzi di residenza degli indagati.
Solo l’impegno dei genitori, di molte associazioni, fra cui Amnesty International, e di tantissimi cittadini ha evitato che si spegnessero definitivamente i riflettori su questo omicidio,
Scrive Amnesty international, “Lo striscione giallo ‘Verità per Giulio Regeni’ ha fatto il giro del mondo. Insieme a La Repubblica da febbraio 2016 abbiamo lanciato una campagna per non permettere che l’omicidio del giovane ricercatore italiano finisca per essere dimenticato, per essere catalogato tra le tante inchieste in corso o peggio, per essere collocato nel passato da una versione ufficiale del governo del Cairo”.
Come se non bastasse l’assenza degli indagati, molti testimoni egiziani non si presentano in tribunale per paura di subire ritorsioni nel loro Paese. Ciononostante, sono state acquisite due testimonianze decisamente importanti.
Nella prima un uomo riferisce di una conversazione intercorsa tra l’imputato accusato di essere il boia di Regeni, il maggiore Magdi Ibrahim Abdel Sharif, e un funzionario della sicurezza keniota. ascoltata in un ristorante. Così la sintetizza, su Il Manifesto, E. Martini: ““Nel nostro Paese abbiamo avuto il caso di un accademico italiano che pensavamo fosse della Cia ma anche del Mossad. Era un problema perché era popolare fra la gente comune. Finalmente l’abbiamo preso: lo abbiamo fatto a pezzi, lo abbiamo distrutto. Io l’ho colpito, avrebbe detto Sharif secondo il resoconto del testimone ‘gamma’, sentito dai giudici in modalità protetta. Il teste lo ha sentito chiamare per nome dopo averlo visto scendere poco prima da un veicolo diplomatico egiziano. Erano a distanza di circa due metri da me: non c’erano tavoli fra noi”.
Nella seconda il cosiddetto testimone Delta ricorda: “Sono stato arrestato a causa di una canzone contro Al Sisi che postai su Youtube. Ricordo di avere incontrato quel ragazzo in commissariato e di averlo poi sentito mentre lo torturavano […] Poi ci hanno portato via insieme, ci hanno fatto salire a bordo di una auto e ci hanno bendato gli occhi. Capii subito dove eravamo arrivati [un ufficio sicurezza dello stato, NdR]. Quel posto è noto come cimitero dei vivi. Giulio venne accompagnato nella sezione per gli stranieri. Non l’ho più visto ma sentivo quando veniva picchiato perché eravamo in stanze vicine, sentivo che urlava: quando si tratta di torturare questi non fanno differenze, non sono razzisti”.
Di fronte a tutto ciò, a una costante violazione dei diritti umani che caratterizza il Paese di Al Sisi, un governo serio, parliamo di quelli precedenti e di quello attuale, avrebbe dovuto rimettere in discussione le relazioni diplomatiche e smettere di considerare l’Egitto un Paese Sicuro. In effetti, nel 2016 fu temporaneamente ritirato il nostro ambasciatore le relazioni, però, furono ben presto ristabilite. Del resto la compagnia italiana ENI è uno degli attori principali nello sviluppo dei giacimenti di gas egiziani e, ai soldi, evidentemente non si comanda. Così come quando nel 2020 vennero vendute due fregate all’Egitto.
Ci piace perciò concludere con le parole degli amici di Giulio Regeni: “La sua morte è stata decisa in un contesto dove i diritti umani sono calpestati sistematicamente. Un contesto del genere non può e non potrà mai essere sicuro. Per nessun individuo al mondo.
Un pensiero a te Giulio con la promessa che anche quest’anno non verrà meno l’impegno per ottenere ciò che è giusto”.
Il mio pensiero a Giulio ed un abbraccio ai suoi familiari !
Ma poveri Servizi egiziani, che mancanza di professionalità! Fare ritrovare un cadavere torturato a lato di una strada principale e il giorno stesso in cui si sarebbe dovuto firmare un accordo ( saltato) importante che assicurava all’Italia forniture di gas alla faccia d’Inghilterra Francia e Usa!!
E Il curriculum di Regeni lo avete guardato?
Date un’occhiatina, prima di accusare l’ennesimo paese totalitario antidemocratico amico dei russi ecc ecc e d’invocare l’ennesimo bombardamento umanitario per esportare la nostra democrazia e i nostri altissimi valori occidentali!!