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Più pressione fiscale, meno stato sociale

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grafico pressione fiscale 2024

Risale a pochi giorni fa la comunicazione ufficiale con cui l’Istat certifica un aumento della pressione fiscale di 0,8 punti percentuali rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. La promessa inversione di rotta con relativa diminuzione delle tasse non c’è stata. Tanto meno c’è stato anche solo il tentativo di rendere la tassazione più equa.

Semplice e chiaro, in proposito il breve e incisivo intervento della sociologa Chiara Saraceno su La Stampa di qualche giorno fa, “L’amaro paradosso delle nostre tasse che puniscono i cittadini più deboli” (link).

Il punto di partenza del suo ragionamento è la convergenza di idee tra il socialista Matteotti e il liberale Einaudi, che consideravano le tasse non solo come necessarie, perché ogni programma di governo necessita di risorse, ma anche come uno strumento per ridurre le diseguaglianze, soprattutto – come scrive Saraceno – “tramite un’offerta robusta di beni pubblici, di infrastrutture materiali e sociali, che consentano anche a chi ha meno risorse individuali non solo di farcela, ma di migliorare le proprie condizioni e di partecipare pienamente alla società”.

Ecco perché entrambi erano favorevoli alla progressività nella tassazione e fortemente avversi ad ogni forma di “elusione, trattamento di favore, contrattazione”, dice la studiosa, aggiungendo che tocca poi allo Stato, tramite le sue norme ed una amministrazione efficiente, trasformare le tasse in beni pubblici e in risorse accessibili ai cittadini per la soddisfazione dei propri bisogni.

Un’idea di Stato, quindi anche di tassazione, cui l’Italia è arrivata solo con la Costituzione repubblicana, ma che non è ancora pienamente attuata, nonostante l’introduzione nel 1973 dell’imposta personale progressiva (Irpef) “che avrebbe dovuto ricomprendere, appunto in un’ottica di progressività, tutti i redditi”.

Saraceno ricorda, infatti, che ci sono ancora reddditi (ad es quelli da capitale) tassati diversamente e oggetto di piccole o grandi elusioni. E che i redditi da lavoro autonomo godono di un trattamento di maggior favore rispetto al lavoro dipendente, su cui grava maggiormente il prelievo fiscale.

Anche i beni comuni, le infrastrutture materiali e sociali, “sono disponibili tra i gruppi sociali e i contesti territoriali in modo non solo disomogeneo, ma che spesso si sovrappone alle disuguaglianze, aggravandole anziché compensarle”.

La parola d’ordine, tuttavia, è oggi – prosegue la sociologa – quella dell’abbassamento delle tasse, non quella della loro distribuzione più equa e di un loro uso più efficiente ed efficace. Una riduzione, tuttavia, che non è facilmente praticabile neppure da chi se ne fa campione. Lo ha certificato, proprio pochi giorni fa, l’Istat segnalando come la pressione fiscale nell’ultimo anno sia aumentata, anche se non per tutti nello stesso modo.

I proclami – conclude Saraceno – restano però gli stessi e nel frattempo le diseguaglianze aumentano e proprio i ceti su cui più gravano le tasse hanno sempre meno accesso a quei beni (basti l’esempio della sanità) che le proprie tasse dovrebbero finanziare.

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