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Interrogare la Sfinge, il silenzio del Ministro sulla mancata tutela dei Beni Culturali

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particolare della copertina del libro 'Interrogare la Sfinge', di Margherita Corrado

Interrogare la Sfinge. Un’archeologa in Parlamento ai tempi del colera (2019-2022)” è l’ultimo libro di Margherita Corrado, archeologa e senatrice nella XVIII legislatura, dove è stata membro della Commissione Cultura. Su questo testo, pubblicato nel 2023 da Scienze e Lettere, l’Autrice dialoga con Francesca Valbruzzi, archeologa e saggista.

La “Sfinge” del titolo richiama il silenzio istituzionale del Ministro Franceschini che non rispose, né oralmente né per iscritto, a quasi tutte le 230 interrogazioni parlamentari a lui rivolte dalla senatrice negli anni del suo mandato.

Le interrogazioni parlamentari, pubblicate nel libro, testimoniano le indagini svolte da Corrado con rigoroso metodo scientifico, vere e proprie “azioni civili” in difesa del patrimonio culturale e paesaggistico italiano. Ad esse si contrappone il silenzio del Ministro, che si rivela un vero e proprio tradimento delle legittime aspettative di soluzione da parte della società civile.

Francesca Valbruzzi

La prima sezione del libro, Il tradimento della tutela, raccoglie la maggior parte delle interrogazioni e si articola in quattro parti: “il tradimento dei compiti costituzionali”; “dalla discrezionalità all’arbitrio il passo è breve”; “gli immortali o della cattiva gestione degli Istituti dotati di autonomia”; “la mala gestio degli enti sorvegliati”. L’oggetto della seconda sezione è il tradimento della tutela dei beni non statali.

Sorprende che due interrogazioni aventi come oggetto la mancata tutela del patrimonio culturale in Sicilia siano inserite nella prima sezione, nonostante il sistema di tutela dell’Isola sia da cinquant’anni nelle mani della Regione e non dello Stato. Mi riferisco all’interrogazione del dicembre 2020 riguardante ‘la carta di Catania’ e di quella del maggio 2021sul venir meno dell’ordinamento disciplinare dei ruoli tecnici dei Beni Culturali.

Perché questa scelta?

Margherita Corrado

Premetto che aggiungerei ai due atti da Lei citati i casi singoli oggetto di altre mie interrogazioni ‘siciliane’, perché declinano sul territorio la scelta programmatica dell’Esecutivo di non vigilare sulle inadempienze della Regione Siciliana in materia di tutela del patrimonio culturale e ostinarsi pilatescamente ad ignorarle.

Nel triennio 2019-2022, lasso di tempo in cui si concentrano le 230 interrogazioni già ricordate, mi sono infatti occupata anche del parco archeologico di Siracusa (2021), delle argenterie di Morgantina (2020) e delle lamine di Selinunte trafugate all’estero (2020), del San Nicolò l’Arena di Catania (2020).

Tornando alla Sua domanda, la risposta, valida per tutti i casi (teorici e pratici) da me attenzionati, è che il fatto che lo Stato abbia delegato alla Regione Siciliana i compiti costituzionali di tutela con i decreti presidenziali del 1975 non esime il Governo, e per esso il titolare del Ministero che dal 2 marzo 2021 è stato improvvidamente ribattezzato della Cultura, dall’esercizio, ove occorra, del potere sostitutivo (ex art. 120 Cost.).

Lo scopo di una tale vigilanza attiva sarebbe, come chiedevo interrogando l’allora ministro Franceschini, quello di “ripristinare l’assetto istituzionale legale degli organi regionali di tutela” e di “ovviare all’inadempienza dell’Italia rispetto agli obblighi assunti con la Convenzione europea per la protezione del patrimonio archeologico. La Valletta, 16 gennaio 1992, ratificata dal Parlamento italiano con la legge 19 aprile 2015, n. 57”.

Ripristinare l’unitarietà giuridica del sistema di tutela su tutto il territorio Italiano dovrebbe essere, a mio avviso, l’obiettivo primario. Solo così il patrimonio culturale della Nazione conservato in Sicilia potrebbe godere nuovamente della cura istituzionale che solo Organi tecnico-scientifici di tutela autonomi dal potere esecutivo, dotati di personale con elevate competenze professionali specialistiche e di adeguati investimenti pubblici, possono assicurare.

La restituzione della dignità del proprio ruolo pubblico ai professionisti dei beni culturali in servizio presso le Istituzioni di tutela siciliane, troppo spesso sviliti, resta, personalmente, poiché tanti ne conosco ho avuto modo di apprezzare le loro qualità, il mio auspicio più grande.

Francesca Valbruzzi

Quali reputa siano i “casi investigativi” documentati dalle sue interrogazioni che abbiano carattere di urgenza e possano dimostrare la continuità della azione istituzionale di de-tutela del patrimonio culturale e paesaggistico della Nazione nella attuale Legislatura?

Margherita Corrado

Non vedo discontinuità sostanziali nella politica culturale del governo in carica in confronto al Conte 2 e all’esecutivo Draghi. Nel biennio 2022-2024 si sono avvicendati al Collegio Romano già due ministri ma l’anomalia rappresentata dal progressivo disimpegno del MiC, inaugurato nella lunghissima ‘stagione Franceschini’, rispetto al compito prioritario e che ne giustifica l’esistenza, quello cioè di dare esecuzione al principio costituzionale della tutela del patrimonio storico-artistico e del paesaggio, ha fatto scuola e si è imposta fino a diventare ‘normalità’.

Ai peggiori mali della gestione precedente, deplorati in tante mie interrogazioni, l’attuale governance non ha finora tentato di porre un freno, meno ancora un rimedio, concentrandosi invece sull’avvicendamento dei ruoli apicali con soggetti graditi alla maggioranza. La “sostituzione etnica”, mi si passi la battuta, è tuttora in corso.

Spiace ma non sorprende, perciò, riscontrare oggi verso i musei esteri lo stesso servilismo del recente passato: proseguono i prestiti di centinaia di opere già considerate inamovibili e perdura la rinuncia a pretendere la restituzione di beni italiani acquisiti dagli istituti esteri più spregiudicati sul mercato illegale. Continuano ad avvantaggiarsene il Louvre, il Museo Nazionale di Madrid, vari istituti tedeschi, come pure diversi musei statunitensi (a Cleveland, Huston, Los Angeles, ecc.).

La de-tutela, però, si esercita specialmente e con più gravi conseguenze all’interno del territorio nazionale, mantenendo sguarniti gli uffici territoriali istituzionalmente preposti a garantire la conservazione del patrimonio culturale e rendendone inefficaci le pronunce. Dopo averne mescolato il ‘corredo genetico’ con le soprintendenze olistiche, gli ibridi così ottenuti non sono messi in grado di svolgere i propri compiti per mancanza di unità lavorative e di risorse adeguate. C’è persino un deficit crescente di credibilità, anche per l’accentuarsi della discrezionalità nell’applicazione delle norme.

La resa incondizionata nei confronti dei veri padroni del Paese, le potenti società private (spesso estere) attive nel settore delle energie rinnovabili, alle quali è concesso di espropriare per pubblica utilità (sic) qualsiasi terreno – non le cave abbandonate e le aree già compromesse ma i suoli agricoli, gli arboreti secolari, i crinali, e di inquinare i coni visuali per decine di chilometri –, è drammatica quanto foriera di danni irreversibili.

L’apparenza ha scalzato la sostanza, al punto che in breve tempo, e lo dico provocatoriamente ma col timore che dover assistere ad un tale scempio, il ministero del turismo fagociterà quello che fu dei beni e attività culturali, già oggi intesi esclusivamente in un’ottica strumentale e mercantile. Accadrà una volta sollevato il velo di ipocrisia che per il momento ancora insiste sulla rinuncia dello Stato all’esercizio della tutela, nei fatti già praticata, nonostante che la Corte Costituzionale abbia spesso ribadito che secondo il “principio fondamentale posto dall’articolo 9 della Costituzione, la tutela dei beni culturali e del paesaggio costituisce un interesse costituzionale primario e assoluto”.



1 Comments

  1. Non si può sottacere l’interesse della parflamentare nella trattazione degli argomenti che interessano l’ambiente. Purtroppo la materia è sovente ignorata e uno degli aspetti trascurati riguarda il diritto dei cittadini a pretendere e chiedere la tutela dell’ambiente. Mi riferisco al fatto che le norme apprestate per consentire la tutela ambientale sono carenti in molti punti per cui , il cittadino che vuole denunciare e chiedere l’annullamento degli atti che turbano i diritti sui beni comuni , deve faticare non poco ; spendere molti soldi ed onnere sovente provvedimenti negativi. Le procedure amministrative sono carenti per cui il diritto all’ambiente viene vanificato e reso quasi impossibile. Questo aspetto deve essere attenzionato dai politici anche ad evitare che accanto al reclamo ed alla richiesta di tutela si affiancano situazioni di difficile attuazione del diritto del privato cittadino.

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