Christmas Town, fa irruzione la causa Curda

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striscione pro Rojava sulla ruota panoramica

Uno striscione lungo 15 metri, con la scritta Difendiamo il Rojava, fermiamo la Turchia, srotolato il 27 dicembre scorso dalla ruota panoramica del Christmas Town di Catania ha attirato l’attenzione dei tanti visitatori presenti. Con questa azione i Catanesi solidali con il popolo Curdo hanno voluto ricordare l’ennesimo conflitto che insanguina il Medio Oriente e, nel contempo, sottolineare la situazione della popolazione curda. Stiamo parlando di circa 35 milioni di persone che vivono in nazioni diverse (Iraq, Iran, Siria, Armenia, Turchia) e che, in parte, sono emigrate anche in Europa, principalmente in Germania.

In Italia i riflettori sul “caso Curdo” furono accesi quando Abdullah Ocalan (fondatore del Partito dei Lavoratori del Kurdistan – PKK – e leader riconosciuto dell’intera popolazione), giunto a Roma nel 1998, si consegnò alle autorità italiane, sperando di ottenere l’asilo politico, poiché nel suo paese d’origine (la Turchia) gli veniva negato l’esercizio delle libertà democratiche.

Il primo ottobre 1999, in effetti, il Tribunale di Roma concesse l’asilo. Troppo tardi. Infatti, il governo D’Alema, in seguito alle “sollecitazioni” del governo turco invitò Ocalan a lasciare l’Italia, con la conseguenza che quest’ultimo, in Kenya, venne catturato da agenti dei Servizi segreti turchi, tradotto immediatamente e del tutto illegalmente in Turchia e recluso nel carcere di Imrali (dove si trova tuttora, in totale isolamento), essendo stata la condanna a morte tramutata nella pena dell’ergastolo.

La recente caduta di Assad ha riportato in primo piano la questione curda, perché il nord della Siria è abitato, e governato, prevalentemente dal popolo curdo, ma sono presenti anche arabi, drusi, armeni e siriaco-assiri.

Si tratta del “Rojava” (Kurdistan occidentale), che confina con la Turchia, che sta cercando di utilizzare il conflitto in atto per invadere questi territori e porre fine all’esperienza dell’amministrazione democratica della Siria del nord-est.

Di ciò che sta accadendo in Siria si è discusso a Catania a metà dicembre presso la facoltà di Scienze Politiche, in un dibattito promosso dai Catanesi solidali, dal titolo: Le istituzioni politiche e i processi partecipativi in Rojava. Presente, fra gli altri, Adem Uzun, membro del Congresso Nazionale del Kurdistan). Un confronto per capire cosa accade nel “dopo Assad”, ma anche per conoscere il modo concreto di operare del governo del Rojava, organizzato secondo i principi del Confederalismo democratico.

Molto positiva, secondo Uzun, la caduta di Assad, ma occorre evitare la nascita di un nuovo regime e che le principali potenze straniere presenti sul campo (Israele e Turchia) utilizzino la crisi siriana esclusivamente per i loro obiettivi: Israele per colpire l’Iran, la Turchia per eliminare il Rojava, non a caso sostiene le formazioni jihadiste, facendo di tutto affinché siano loro a dominare lo scenario politico. Da qui l’appello alle istituzioni internazionali e ai movimenti pacifisti perché seguano con attenzione ciò che sta accadendo e si arrivi in Siria a una costituzione democratica e inclusiva che protegga tutte le minoranze presenti. Un obiettivo, quest’ultimo, in contrasto con la presenza nel territorio di bande attive che colpiscono i civili, protette dalle Forze Armate e dai droni turchi.

Ma il dibattito è servito, anche, a conoscere meglio l’esperienza del Confederalismo democratico e, in particolare, come è organizzata l’amministrazione del Rojava, dove, dal 2012, convivono donne e uomini di diversa provenienza, che hanno deciso di “gestirsi” senza riprodurre il modello dello stato-nazione.

L’ Amministrazione Autonoma della Siria del Nord e dell’Est ha messo al centro la democrazia diretta, la liberazione delle donne e l’ecologia. Non propone un modello “democratico standard”, ma ritiene che le istituzioni debbano rispondere alle caratteristiche particolari di ogni territorio e di ogni popolo che lo abita, nella convinzione che le ricchezze e le risorse naturali appartengono alla società e devono essere utilizzate e investite in base ai bisogni delle regioni e in maniera equa. Si tratta di una democrazia senza stato, che mette al centro dei processi decisionali le comuni, assemblee popolari che praticano la democrazia diretta, cui spetta il primato decisionale. Queste strutture formano le unità di base e sono rappresentate a un livello più alto nel consiglio di quartiere o villaggio, distrettuale e nazionale. Di fatto, lo Stato è sostituito da una confederazione di assemblee locali aperte a tutti i cittadini, mentre le istituzioni centrali hanno poche e limitate competenze (bilancio, politica internazionale, emanare leggi e regolamenti sulla base delle proposte dei consigli locali).

Tutte le istituzioni del confederalismo democratico attualmente esistenti hanno come rappresentanti un uomo e una donna e c’è rappresentanza sia religiosa che etnica.

Non esistono forze militari e di polizia controllate dallo Stato. Le forze di Sicurezza si occupano di proteggere le città, quelle di Difesa Civile della sicurezza di base e proteggono le comunità.

Le donne hanno assemblee e istituzioni che godono di una particolare autonomia, riunite nel Kongra Star, la Confederazione delle organizzazioni di donne. Poiché da sempre oppresse e sottomesse, si ritiene necessario che si educhino e auto-organizzino in contesti separati, in cui non possa esserci nessuna infiltrazione del patriarcato.

Infine, convinti che i problemi ecologici abbiano origine dai problemi sociali, l’obiettivo è quello di costituire una società non gerarchica anche dal punto di vista ecologico riconoscendo che l’umanità non si pone al di fuori della natura, ma anzi è parte di essa.

Nel suo intervento Sara Zuccarello (esponente dei Catanesi solidali) ha invitato i presenti (tanti gli studenti universitari) a conoscere meglio l’esperienza del Rojava, leggendo i documenti fondamentali, a partire dal contratto sociale, ma soprattutto a seguire con attenzione quanto sta avvenendo in Siria, perché, caduto Assad, non prevalgano né l’indifferenza, né gli interessi delle potenze straniere, ma, al contrario, si rafforzino le prospettive di una convivenza pacifica fra tutte le diverse popolazioni presenti. Una prospettiva inclusiva di cui c’è assoluto bisogno, e non solo nel Medio Oriente.

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