Non progetto Koinè ma metodo Koinè, un metodo che deve essere standardizzato, divenire la norma all’interno delle carceri e nell’area di esecuzione penale esterna.
Con queste parole Luca Rossomandi, presidente del Tribunale di Sorveglianza di Catania, ha concluso il convegno “Il senso della pena” durante il quale, mercoledì 23 ottobre, con l’ottimo coordinamento di Maria Pia Fontana, è stata presentata l’esperienza del progetto Koinè.
La voce di Rossomandi non è autorevole soltanto per il ruolo che egli ricopre, è una voce convinta, motivata. Racconta, ad esempio, che “quando ho conosciuto i nomi delle detenute che avrebbero fatto un tirocinio lavorando al riordino dei materiali di archivio del Tribunale, ho fatto un balzo sulla sedia”. Era il nome di due donne nomadi, abituate a vivere di illeciti e che non avevano mai lavorato. Ma il giudice ammette di essersi sbagliato, le due detenute hanno dimostrato senso di responsabilità, puntualità, capacità di organizzare un’attività di cui non avevano nessuna esperienza.
E’ lo stesso episodio a cui fa riferimento il presidente del Tribunale civile, Francesco Mannino, rammaricandosi che l’esperienza sia rimasta unica e che non sia stato possibile proseguirla per mancanza di finanziamenti. D’altra parte, tutte queste esperienze lavorative, svolte anche in altri settori dai detenuti coinvolti nel progetto, sono state positive, “hanno trasformato e fatto crescere anche noi” ribadisce Mannino.
Il problema del lavoro risuona in modo centrale e ricorrente negli interventi dei relatori. L’inattività in cui i detenuti trascorrono il loro tempo, vissuto appunto come “tempo perso”, è uno dei fattori che contribuisce a “trasformare la medicina in veleno”, espressione utilizzata dal giurista Giovanni Fiandaca che è stato anche garante dei diritti dei detenuti della Regione Sicilia.
Tutti i relatori si sono interrogati sul senso della pena, che deve essere non solo uno strumento di giustizia distributiva e di prevenzione, con un inevitabile carattere afflittivo, ma anche un’occasione per rieducare. Cosa non facile, dice Filippo Pennisi, presidente della Corte di Appello, che esprime il timore che la rieducazione possa restare solo un’indicazione di principio presente nella Carta Costituzionale.
E’ indubbio, e lo ha rimarcato Agata Santonocito, procuratrice facente funzione, che la maggior parte delle devianze criminali si registrino in contesti e luoghi deprivati che non offrono opportunità, istruzione, lavoro. E “l’esperienza personale – prosegue – ci porta a riflettere sulla ricorrenza, nelle indagini, degli stessi nomi e di quelli delle stesse famiglie, facendoci interrogare anche sul tema della recidiva”. Un tema cui su torna in conclusione anche Rossomandi, ricordando la carenza di studi a riguardo, avendo noi oggi a disposizione solo dati statistici che evidenziano, tuttavia, come la recidiva si riduca moltissimo nei casi di condannati che hanno fatto lavoro esterno (2%, contro il 68% di tutti gli altri). Con un ritorno alla ribalta del tema del lavoro.
Essendo la Sicilia terra di frontiera e di approdo è inevitabile che l’utenza anche delle carceri sia cambiata. Lo nota Giuseppa Irrera, direttora Provveditorato Regionale Amministrazione Penitenziaria, ma di cambiamento e di aumento dei detenuti stranieri parla anche Roberta Montalto, direttora del USSM, notando che non sono però cresciuti in proporzione i supporti. Osserva inoltre come l’età dei minori in area penale si stia spostando in avanti con la conseguenza che sale il numero dei quasi maggiorenni che – raggiunta la maggiore età – non possono più usufruire dei servizi offerti ai minori.
Dai vari interventi risulta l’immagine di un bisogno che cresce a vari livelli, senza che vi siano risposte e risorse adeguate.
Di mancate risorse parla anche Vania Patanè, docente di diritto processuale penale, che – con riferimento alla ‘giustizia riparativa’ introdotta dalla riforma Cartabia e applicabile a tutte le tipologie di reato – si rammarica del fatto che non siano stati creati i necessari servizi. Ci troviamo “davanti ad una nuovo paradigma, descritto in modo molto preciso ma con la pretesa che sia possibile realizzarlo a costo zero e senza prima approntare le necessarie strutture”.
Decisivo per la comprensione del progetto Koinè l’intervento di Domenico Palermo, che del progetto è stato il direttore ed è già impegnato nella sua seconda fase, Koinè Restart, di recente avviata.
Tra i fondatori di Cooperativa Prospettiva, già giudice onorario al Tribunale per i Minorenni, con una lunga esperienza di presenza tra i detenuti, Palermo si è buttato con convinzione in questo grande progetto finanziato dalla Regione e dalla Cassa delle Ammende. Un progetto che ha coinvolto tutti i dieci istituti carcerari della Sicilia Orientale e l’area in esecuzione penale esterna delle provincie di Catania, Messina, Siracusa e Ragusa.
E mentre Palermo esponeva gli obiettivi del progetto e le attività svolte, indicando numeri e risultati, emergeva il carattere titanico del lavoro effettuato, con un numero di destinatari coinvolti sempre più alto di quello previsto e risultati significativi nonostante l’enormità delle questioni affrontate.
“Sia in carcere sia tra le persone in esecuzione penale esterna c’è una fortissima domanda di aiuto – ha esordito Palermo – e una sofferenza enorme, a cui abbiamo cercato di andare incontro ampliando il cerchio dei destinatari”. Dovevano, infatti, essere 90 e sono diventati 549 (420 in carcere, 129 in area penale esterna).
Tante le attività svolte, a partire dalla consulenza legale e amministrativa per fatti estranei al reato, importantissima per gli stranieri, ai quali è stato offerto anche un servizio di mediazione linguistico-culturale, assente nella carceri. Una mancanza grave che rende insostenibile la situazione di persone che talora non conoscono nemmeno il motivo per cui sono detenute.
E poi, sussidi economici, previsti per 10 persone ed erogati a 321, perchè “dentro le carceri vivono persone in assoluta indigenza”, e tali sono le loro famiglie.
Drammatica la mancanza di autonomia abitativa. “Ci sono persone – racconta Palermo- che restano in carcere perchè non hanno dove andare” e questo li priva anche di alcuni diritti come la possibilità di usufruire della detenzione domiciliare o di permessi premio.
All’interno del progetto sono state realizzati tirocinii di inserimento lavorativo che hanno coinvolto 30 persone, alcune delle quali sono state assunte stabilmente. E tantissimi laboratori, teatrali, di orticultura, di lavorazione della terracotta…
Più di mille sono stati gli interventi di sostegno psicologico e psicotepapeutico, che avrebbero dovuto coinvolgere 30 persone, ma hanno determinato la presa in carico di 119 casi. Un tema scottante questo, perché la sofferenza psicologica negli istituti di pena è altissima e non ci sono le risorse umane per intervenire. Ed infatti “su questo aspetto – afferma Palermo – insisterà molto il nuovo progetto”.
Parlare di Koinè, prosegue il direttore, significa parlare non solo di volontariato ma di una proficua “sinergia tra pubblico e privato sociale”, con il coivolgimento di elevate competenze professionali e con la specializzazione delle funzioni.
Molti gli enti interessati, ognuno con la propria specificità e la propria area territoriale, la Fondazione di Comunità Val di Noto (Sr) e Santa Maria della Strada (Me) per il supporto abitativo, MEDU per l’area medica, ma anche Archè, Il Nodo, Marinella Garcia, il Centro Astalli, l’associazione Massimiliano Kolbe, ed altri ancora.
Un’esperienza, quindi, di grande spessore e tale da costituire un modello che possa – come si augura il garante dei detenuti Santi Consolo – “alimentare la speranza”.
Presentato anche il volume di scritti e testimonianze, “Libero è il pensiero. Voci sogni parole e immagini dal carcere”, frutto dell’impegno ultra decennale di Cooperativa Prospettiva.