Carlo Galli, già docente di storia delle dottrine politiche a Bologna, ancora attivo come opinionista politico, dedica il suo ultimo libro a Fratelli d’Italia, il partito che – in un’era di crisi dei partiti – è riuscito a raccogliere ampi consensi e a vincere le elezioni. Questo libro, “La destra al potere. Rischi per la democrazia?” (Cortina Editore) è stato oggetto di un dialogo con l’autore, organizzato dai giovani di Rivoluzione Culturale insieme a Memoria e Futuro, che ha reso disponibile la diretta dell’intervista sulla propria pagina facebook, dove si può riascoltare.
Galli analizza Fratelli d’Italia collocandolo nel contesto non solo italiano ma anche europeo e non solo politico ma anche sociale ed economico.
Interrogandosi sui motivi del suo successo, lo individua nella sua capacità di rispondere, almeno a parole, ad un bisogno diffuso di sicurezza da parte di individui che, in una “società ormai disgregata in atomi sociali”, si sentono soli, preoccupati per la situazione economica, inquieti per gli scenari di guerra, bisognosi di rassicurazione.
In modo contradditorio, dopo aver disprezzato la politica e i partiti ed espresso sfiducia nelle istituzioni rappresentative, questi cittadini chiedono certezze, “piccole certezze quotidiane”, ad un partito che “pretende di rappresentare una novità ma è in realtà il partito della banalità quotidiana e della rassicurazione verbale”.
Non è – a parere dell’autore – un partito ‘rivoluzionario’ che aspira a trasformazioni radicali e non è un partito sovranista, “come dimostra l’assenza di strappi nei confronti della Nato e della UE, essendo stata anche la politica estera democristiana molto più autonoma nei confronti degli Stati Uniti”.
Fratelli d’Italia non è neanche un partito fascista, sebbene del fascismo siano nostalgiche alcune personalità che ne fanno parte. Non ne ha le principali caratteristiche, a partire dall’aggressività e dalla violenza di cui non ha bisogno per fare la guerra ad un sistema dei partiti da tempo evanescente, ad un Parlamento che si è già dimostrato impotente e che, con la riforma del premierato, verrebbe ulteriormente esautorato per mettere al comando “un uomo solo”.
Un obiettivo che si tende a perseguire senza proporre dittature o poteri carismatici, ma facendo dell’esecutivo il perno di una “politica più energica” che si richiama al “sindaco d’Italia di renziana memoria” e che, “senza scossoni giganteschi, porta gradualmente la Costituzione verso l’insussistenza.”
Cosa offre questo partito a quella parte di parte dei cittadini che va ancora a votare? Offre quello che essi chiedono – risponde Galli: una “franchigia dai doveri, soprattutto dai doveri fiscali”, una certa indulgenza verso “i comportamenti privatistici” e una promessa di protezione sociale, che viene garantita soprattutto alle “fette di cittadinanza che a questo partito sono più care delle altre”. E’ indubbio, infatti, che ci siano fasce sociali verso cui esso dimostra maggiore benevolenza, anche se dentro i paletti imposti dalla UE, da cui la politica italiana non si discosta.
Nel complesso, le soluzioni offerte da questa destra sono basate per un verso sulla privatizzazione, per l’altro verso sull’autoritarismo. Un autoritarismo che Galli vede esemplificato non solo dalla proposta del premierato ma anche da provvedimenti come il decreto sicurezza, che permettono di reprimere i comportamenti ritenuti pericolosi e offensivi anche da molti cittadini.
Su queste modalità di ‘rassicurazione’ Galli interloquisce con Adriana Laudani, presidente di Memoria e Futuro, che – in riferimento ad Decreto Caivano – si interroga sui rischi di scelte politiche che, sfruttando la paura della diffusione del crimine, di fatto criminalizzano la fascia di popolazione che vive maggiormente il disagio socio-economico. E cita l’introduzione di nuovi reati, l’inasprimento delle pene, la privazione della libertà estesa anche ai minori decise dal decreto: una non-risposta alla drammatica situazione di disagio sociale, abbandono scolastico, criminalità giovanile che caratterizza molte periferie.
Con questo tipo di interventi il governo, invece di recuperare le nuove generazioni, rischia di bruciarle per sempre. E in effetti, risponde il professore, recuperare questi giovani non è tra gli obiettivi di questa destra,. “L’istanza, presente in Costituzione, di favorire la piena fioritura della personalità in una società non attraversata da diseguaglianze, è stata dimenticata”.
La “fioritura” – prosegue – oggi non la chiediamo allo Stato ma al mercato, anche se ormai la fase dell’euforia neoliberista e antistatalista dell’era berlusconiana è finita. A partire dalla crisi del 2007/2008 l’economia ha virato verso l’austerità – osserva Galli – e, davanti alla crisi, si torna paradossalmente a chiedere protezione allo Stato, a quelle istituzioni politiche che sono state attaccate e indebolite.
Ma lo Stato è ingabbiato in un “paradigma economico europeo” che va rispettato e al quale – constata Galli – questo governo non si oppone. Lo Stato non si deve indebitare, deve ridurre al minimo il suo deficit, continuando nella strada imboccata da trenta anni a questa parte con i tagli al proprio bilancio. “Non sono stati fatti investimenti pubblici nella scuola, nell’università, nella sanità, nella pubblica amministrazione, si è creata una situazione drammatica, per sanare la quale servirebbero investimenti enormi che le regole europee non ci consentono”. Investimenti pubblici che, comunque, questa destra – che si limita ad assecondare le dinamiche esistenti – non vuole.
Molto altro, d’altra parte, essa non sarebbe in grado di fare – osserva lo studioso – non solo per la fragilità del suo apparato teorico, ma anche perché siamo ormai dentro un mondo dominato dai poteri economici. Non è più una destra che afferma il predominio della politica sull’economia, è una destra che deve fare i conti “con lo strapotere delle logiche economiche e solo con brandelli di potere politico”.
Per contrastare questa destra – conclude il professore – bisogna smettere “di tenere i cannoni puntati contro il fascismo che è un bersaglio inesistente”. E bisogna smettere di criticare i ministri e fare gossip sulle persone.
“La sinistra deve voler esistere come sinistra”. Deve “pensare in modo critico al paradigma economico vigente e scegliere non solo le ZTL ma anche le periferie, dove il disagio è più grave e dove si vota a destra”. Bisogna analizzare e sottoporre a critica le condizioni che hanno permesso alla destra di vincere e che, se resteranno tali, continueranno a farla vincere.