Lampedusa, 3 ottobre 2013, 368 persone, bambini, donne e uomini, che cercavano di raggiungere l’Europa, muoiono in un naufragio al largo dell’isola. La data del 3 ottobre è diventata, con un’apposita legge (45/2016), la Giornata della Memoria e dell’Accoglienza, per ricordare e commemorare tutte le vittime dell’immigrazione e per promuovere iniziative di sensibilizzazione e solidarietà.
Molte le iniziative organizzate in questa occasione, a Lampedusa e altrove. A Catania su iniziativa della rete Restiamo Umani-Incontriamoci, in piazza Borgo, un nutrito gruppo di cittadini e di associazioni hanno ascoltato, cantato, pregato in cerchio, insieme all’imam Titi Abdelnasser e alla pastora Silvia Rapisarda, ai tamburi senegalesi e al Coro Scatenato Helin Bolek. E hanno commemorato anche le vittime di altri naugfragi, in particolare quello recente di Cutro, avvenuto a poca distanza dalla riva nella notte tra il 25 e il 26 febbraio 2023.
Un evento ricordato anche con la mostra fotografica di Domenico Fabiano (che ringraziamo per averci autorizzato ad usare la sua foto per aprire questo articolo) e con una ricostruzione dei fatti, dei luoghi e del pessimo decreto con cui il governo ha risposto alla gravità della situzione migratoria calpestando i diritti delle persone migranti. Eppure dovremmo ormai essere consapevoli – come ha detto Brunilde Zisa, volontaria di Emergency, citando Gino Strada – che “se i diritti non sono di tutti, sono privilegi”
Oggi in Italia arrivano meno migranti, al 4 ottobre dell’anno scorso erano stati 135.672, quest’anno sono stati 51.341.
Il governo se ne vanta, Meloni è soddisfatta perché altri paesi europei intendono imitare il modello italiano degli accordi con l’Albania, disposta a costruire, nel proprio territorio, strutture di detenzione per chi prova ad arrivare irregolarmente nel nostro Paese.
Poco importa che i tempi di costruzione non siano stati rispettati e che questo accordo ci costi, a livello economico, più di quanto avremmo speso per mantenere dignitosamente i migranti sbarcati sul nostro suolo.
Poco importa che, internando i migranti nei centri in Albania, venga a mancare la logica graduale della direttiva Ue, che prevede il trattenimento dei richiedenti asilo solo come extrema ratio.
Poco importa, come scrive Fulvio Vassallo Paleologo, che “con l’eccezione di un ristretto numero di casi di vulnerabilità”, ci poniamo “in contrasto non solo con la vigente normativa europea in materia di procedure di asilo (direttiva 2013/32/UE) e di accoglienza (direttiva 2013/33), ma anche con la futura normativa che disciplinerà questa materia, in base al recente Patto sull’immigrazione e l’asilo che dovrebbe entrare in vigore entro due anni”.
D’altra parte, chiudendo un occhio sulle normative basate sul rispetto del diritti, tutti gli Stati dell’Unione sono oggi alla ricerca di modi per tenere fuori i migranti dalle loro frontiere, soprattutto per motivi elettorali.
E il modo che sembra oggi vincente è quello, come scrive Melting Pot Europa, “di stipulare accordi con i Paesi terzi (di provenienza o quelli da cui partono maggiormente le persone migranti). Tali accordi si basano sull’esternalizzazione delle frontiere, ossia sull’appaltare le operazioni di respingimento o contenimento dei flussi migratori ad altri Paesi. Si tratta di operazioni estremamente costose e poco trasparenti”. Operazioni che hanno anche l’effetto di rafforzare governi autoritari che non rispettano nenache i diritti dei propri cittadini
Già il governo Gentiloni, nel 2017, fece un simile accordo con la Libia, costato centinaia di milioni di euro. Accordo, peraltro, confermato dall’attuale governo, in particolare dal ministro Piantedosi, che non perde occasione per esaltare questa “collaborazione”. E pazienza se nei centri di detenzione libici le persone vengono torturate, violentate, uccise. Sono cose che avvengono lontano dai nostri occhi e non ci pesano, quindi, sulla coscienza.
Così come non ci pesano sulla coscienza le persone migranti “scaricate” nel deserto al confine con l’Algeria dal nuovo partner scelto dall’Europa, il presidente tunisino Saied con cui è stato sottoscritto un accordo che costa 100 milioni di euro.
Secondo il Guardian, “Utilizzando motovedette fornite dall’Europa la guardia nazionale marittima della Tunisia ha impedito a più di 50.000 persone di attraversare il Mediterraneo”. Da qui nasce il calo del numero di persone che arrivano in Italia.
Di fatto, sottolinea Melting Pot, “le persone migranti continuano a partire, semplicemente vengono uccise o muoiono altrove, nella piena consapevolezza di una Fortezza Europa che preferisce da un lato stipulare accordi con Paesi dove il rispetto dei diritti fondamentali non esiste; dall’altro, continuare a trincerarsi senza creare alternative sicure e percorribili che tutelino il diritto alla libertà di movimento”.
Più che rallegrarsi, bisognerebbe vergognarsi.